Lo scorso 5 marzo l’ufficio europeo della Federazione Sindacale Mondiale (FSM) ha organizzato un seminario online dal titolo decisamente eloquente: “Telelavoro: il ruolo dei giovani nella lotta contro le forme contemporanee di lavoro flessibile”. Durante la videoconferenza, a cui hanno partecipato rappresentanti di tutte le sigle europee aderenti alla FSM (tra queste, menzioniamo la CGTP-IN portoghese, il PAME greco e l’USB italiana), sono state discusse le numerose criticità del cosiddetto “homeworking”, la cui diffusione è esplosa durante la pandemia, con conseguenze importanti sui diritti dei salariati e sulle loro condizioni di vita.
“Il telelavoro incrementa lo sfruttamento!”
Nella sua introduzione ai lavori della conferenza, la vice-segretaria generale del PEO cipriota Sotiroulla Charalambous ha ricordato come il ruolo della tecnologia sia sempre determinato dai rapporti di classe esistenti in una data società: nei paesi a capitalismo avanzato, il telelavoro è dunque uno strumento al servizio del capitale, che lo utilizza come strumento di deregolamentazione del mercato del lavoro al fine di incrementare lo sfruttamento delle lavoratrici e dei lavoratori. In effetti, il padronato europeo ha approfittato della pandemia per accelerare la diffusione del telelavoro, prima unicamente volontario ma ora imposto ad un numero crescente di salariati a causa delle norme sanitarie.

Sopprimendo la distinzione tra tempo lavorativo e tempo libero, il lavoro da casa permette ai capitalisti di incrementare la parte di giornata dedicata al lavoro (e di conseguenza la parte di plusvalore estratta dal lavoratore). Essendo spesso organizzato sulla base di “obiettivi” e “incarichi”, il telelavoro rappresenta inoltre una sorta di ritorno al lavoro a cottimo che le lotte sindacali dello scorso secolo erano riuscite a ridurre o quantomeno a regolamentare. In molti casi, i lavoratori devono inoltre provvedere a coprire di tasca propria determinate spese di norma assunte dal datore di lavoro (spazio di lavoro, dispositivi elettronici, allacciamento ad internet, ecc.), riducendo ulteriormente il proprio salario ed incrementando invece il profitto dei padroni.
L’impatto sulla vita privata e sull’azione sindacale
Il massiccio ricorso al telelavoro sta peraltro avendo delle conseguenze estremamente pesanti sulle stesse condizioni di vita dei salariati: in Portogallo i “dormitori” in cui 5-6 lavoratori si ammassa(va)no per ridurre il costo dell’affitto stanno ora diventando anche dei luoghi di lavoro, senza più alcuna distinzione fisica e temporale tra lavoro e vita privata. L’obbligo di utilizzare le webcam non fa che ridurre ulteriormente la privacy dei lavoratori, mentre la condivisione degli spazi di lavoro con i figli non necessariamente facilita la conciliazione tra lavoro e famiglia (specialmente in una certa età, i figli devono essere accuditi e ciò significa togliere tempo e attenzione al lavoro, con il rischio di veder calare la propria “produttività” e dunque anche il salario).
L’assenza fisica dai posti di lavoro complica seriamente il lavoro sindacale, impedendo volantinaggi, assemblee, ispezioni delle aziende, ecc. L’isolamento di cui sono vittima i salariati che lavorano a distanza impedisce una presa di coscienza di classe e l’organizzazione di azioni di protesta e di sciopero. Ciò è ancor più vero per i lavoratori più giovani e specialmente per coloro che stanno attualmente entrando nel mercato del lavoro: non avendo conosciuto la realtà precedente, per questi ultimi risulta difficile capire cosa si stia perdendo e la disponibilità a sindacalizzarsi è dunque nettamente minore.

Dalla Svizzera attenzione alle ricadute sulla formazione e sui costi assunti dai lavoratori
Dalla Svizzera è intervenuto il Sindacato Indipendente degli Studenti e Apprendisti (SISA), rappresentato alla videoconferenza da Luca Frei (presente in collegamento anche il coordinatore Rudi Alves). Nel suo intervento, Frei ha ricordato “i problemi che il telelavoro ha sulla salute sia fisica che mentale dei lavoratori, ma anche i vari costi aggiuntivi derivanti dal consumo di elettricità, internet, ecc. che devono assolutamente ricadere sulle spalle dei datori di lavoro, non dei lavoratori. Queste considerazioni valgono anche per gli studenti: la formazione a distanza, che purtroppo è diventata la norma nelle università in Svizzera, è negativa sia dal punto di vista sociale che educativo, ed è quindi importante lottare per il mantenimento e rispettivamente la reintroduzione delle lezioni frontali, cosa che il nostro sindacato sta facendo da mesi“.
Luca Frei, che oltre a militare nel SISA è anche coordinatore della Gioventù Comunista Svizzera, ha portato il saluto del Partito Comunista Svizzero, da anni attento al lavoro e all’analisi della FSM. Da noi contattato, Frei ha sottolineato l’importanza di questi momenti di discussione sul piano internazionale: “l’esperienza maturata dai sindacati di classe nel resto d’Europa è estremamente preziosa per comprendere quali siano i fenomeni e le tendenze di fondo che si verificano nei paesi capitalisti: incontrarsi e discuterne è dunque essenziale per poterle combattere!“. Non da meno, Frei ricorda come – a differenza di buona parte della sinistra elvetica – il PC abbia denunciato da tempo i rischi del telelavoro: “in un’interrogazione dello scorso novembre, i nostri deputati Massimiliano Ay e Lea Ferrari hanno chiesto al governo ticinese di assicurare ai dipendenti pubblici il rimborso delle spese necessarie all’esecuzione del lavoro. A seguito dell’introduzione dell’obbligo di telelavoro avvenuta a metà gennaio, il PC ha inoltre rivendicato la copertura dei costi professionali (internet, telefono, affitto, dispositivi elettronici, ecc.) da parte del padronato – come d’altra parte prescrive la stessa giurisprudenza del Tribunale federale“.