Il governo tedesco ha deciso di vietare gli assembramenti con la scusa del diffondersi dei contagi da Coronavirus. La misura sta iniziando però ad essere colma per molti cittadini che reputano le misure dettate anzitutto da motivazioni politiche più che sanitarie. Benché molti media insistano nel dipingere chi esprime anche solo dei dubbi quali “negazionisti” ed esponenti dell’estrema destra (concetto che in Germania suscita sempre timori per il passato nazista mai realmente elaborato), ultimamente in realtà voci preoccupate si sono udite anche a sinistra: la Gioventù Socialista Operaia Tedesca (SDAJ) aveva evidenziato i rischi che comporta un lockdown prolungato sulla salute psichica dei giovani e dei lavoratori, oltre che ai ben noti problemi economici (leggi qui). Ora anche il Partito Comunista Tedesco (DKP) si fa sentire indignato dalla decisione di impedire le manifestazioni di protesta nonostante siano rispettate le prescrizioni sanitarie. Gli organizzatori delle marce pacifiste pasquali hanno ritenuto che se erano vietati i “raduni nello spazio pubblico”, le loro manifestazioni andavano interpretate piuttosto come delle “assemblee” nel senso del diritto di riunione costituzionalmente garantito. In questo senso in numerose città tedesche, oltre novanta, il movimento per la pace non ha ceduto alle pressioni governative e ha organizzato almeno dei comizi o delle piccole azioni locali.
L’esercito tedesco minaccia la Russia ma i movimenti pacifisti non possono protestare?
Che il divieto di assembramenti a Pasqua sia stato diretto principalmente contro le previste e tradizionali marce pasquali del movimento per la pace “è ovvio”. A dichiararlo è Patrick Köbele, presidente del Partito Comunista Tedesco (DKP) che spiega come i raduni all’aria aperta, mantenendo le distanze fisiche e utilizzando le mascherine, non rappresentano focolai di contagi preoccupanti. L’unico problema – rileva sempre Köbele – si è avuto in effetti in gennaio, quando durante la tradizionale (e autorizzata!) manifestazione della sinistra berlinese in ricordo di Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, la Polizia è intervenuta in forze, caricando violentemente i dimostranti con l’intento di reprimere gli antifascisti della Libera Gioventù Tedesca (FDJ) e così agendo, ha di fatto reso impossibile la protezione sanitaria (leggi qui).
Allo stesso tempo, rileva il leader comunista: “all’ombra della pandemia, la politica di guerra continua. La Bundeswehr partecipa ancora una volta alla manovra Defender, che è una prova per l’accerchiamento di Russia e Cina. Il bilancio del commercio d’armi aumenta e si intende acquistare nuovi bombardieri, anche per trasportare le bombe atomiche immagazzinate in Renania-Palatinato contro la Russia”.
Verso una nuova guerra fredda?
In Germania, ma lo vediamo anche in Svizzera, la propaganda anti-cinese e anti-russa è rovente e raggiunge toni degni del periodo della guerra fredda: fakenews diffuse anche dai mass-media del servizio pubblico contro questi due paesi fautori del multipolarismo e principali freni alla strategia di espansionismo euro-americano, non sono ormai più una rarità. Il già citato dirigente politico sottolinea come le marce di Pasqua previste dal movimento per la pace siano “urgentemete necessarie per portare nelle strade la protesta contro questa politica di guerra”. L’appello di Köbele è rivolto anzitutto ai membri della DKP ed è quello di non mollare e anzi “di lavorare all’interno del movimento per la pace per garantire lo svolgimento delle attività”. Nei luoghi dove queste non sono previste, i militanti del DKP sono invitati “a protestare contro la politica di guerra e la militarizzazione con piccole azioni, nel rispetto delle protezioni sanitarie”.

Era dalla guerra in Irak che la situazione non era così tesa
Ma è davvero così impellente manifestare per la pace? Premesso che il problema qui è anzitutto il venir meno del diritto democratico a protestare, a rispondere a questa domande è Lühr Henken del coordinamento pacifista di Berlino e portavoce del Consiglio per la Pace tedesco, il quale spiega come “la situazione non è mai stata così impegnativa dopo la guerra in Irak del 2003”. In effetti la ministra delle difesa di Berlino, la democristiana Annegret Kramp-Karrenbauer ha dichiarato di fronte alla NATO la volontà di spendere ben 53 miliardi di euro in armamenti: “il massimo che si sia mai visto dalla fine della guerra fredda” spiega Henken, che rileva anche come la spesa militare della NATO abbia superato i 1’100 miliardi di dollari per la prima volta nel 2020 e come le esportazioni di armi tedesche siano cresciute del 26% dal 2019 al 2020. Oltre a ciò – continua sempre il portavoce del movimento pacifista – “il tono dell’Occidente verso la Russia e la Cina sta diventando minacciosamente conflittuale, e si stanno costruendo dei capri espiatori. Tutto questo è per me già sufficiente per scendere in piazza!”. La situazione, quindi, senza una mobilitazione contro la guerra, non tenderà a migliorare: “nella prossima legislatura sarà all’ordine del giorno l’armamento dei droni (‘Eurodrone’), così come l’acquisizione di vettori per le bombe nucleari statunitensi (F-18), che devono anche essere rese più precise ed efficaci contro obiettivi bunkerati in Russia” conclude preoccupato Lühr Henken.
L’export di materiale bellico svizzero è aumentato del 43%
Rispetto alla Germania, la situazione non è particolarmente rosea nemmeno in Svizzera: nel 2019 le imprese rossocrociate hanno infatti esportato – con l’approvazione della Confederazione – materiale bellico per un valore di ben 728 milioni di franchi in 71 Paesi, fra cui ai primi posti svetta la stessa Germania oltre all’Arabia Saudita e agli USA; un aumento di 218 milioni di franchi rispetto all’anno precedente. Non è mancata la reazione indignata del Movimento Svizzero per la Pace (MSP) e del Gruppo per una Svizzera senza esercito (GSsE) che accusano la Svizzera di “alimentare” guerre e di rinunciare di fatto alla propria neutralità. Dello stesso avviso la Gioventù Comunista Svizzera che di conseguenza invita i coscritti e opporsi all’arruolamento forzato nell’esercito svizzero e a voler preferire il Servizio Civile sostitutivo.