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Violenza contro le donne: Erdogan vuole uscire dalla Convenzione. I distinguo della sinistra turca.

La decisione di Recep Tayyip Erdogan non è stata un fulmine a ciel sereno: già nell’agosto 2020 si era pubblicamente ipotizzato di abbandonare la Convenzione di Istanbul sulla violenza contro le donne, ma dopo il decreto del presidente turco del 20 marzo scorso le proteste si sono fatte sentire: centinaia di donne in tutto il Paese hanno protestato contro tale decisione, considerandola un attacco al movimento di emancipazione femminile da parte del governo del partito islamista AKP al governo. Proteste, queste, guidate in primis dai collettivi femministi liberal che però non godono del sostegno attivo dell’importante Associazione della Donne Repubblicane (Cumhuriyet Kadınları Derneği, CKD), espressione del laicismo kemalista, che guarda con scetticismo ogni ingerenza occidentale e che non riconosce il concetto di “genere” che la Convenzione di Istanbul distingue dal “sesso”: questa tesi destrutturerebbe la Repubblica che invece, nel programma del CKD, deve essere unita e compatta nel solco tracciata dalla Rivoluzione del 1923.

La questione non è di genere, ma di classe!

La CKD, guidata da Tülin Oygür, già vice-rettrice della Facoltà di Odontoiatria dell’Università Gazi di Ankara, ha chiarito le proprie priorità in un comunicato stampa: “è la nostra legge nazionale ad essere importante per le donne, certo non la Convenzione di Istanbul”. Quest’ultima tuttavia “costituisce una base per la preparazione della legge numero 6284 sulla protezione della famiglia e la prevenzione della violenza contro le donne”. La presidente della CKD ha continuato spiegando che “la base della violenza contro le donne sta nella nostra consapevolezza sociale” e ha aggiunto: “a cause delle mosse controrivoluzionarie del passato non abbiamo potuto rafforzare a sufficienza la base dell’uguaglianza tra uomini e donne: la principale carenza però è la discriminazione di classe cui sono soggette le nostre donne”. L’appello al governo è molto chiaro e verte sul diritto allo studio, considerato un “fattore chiave della consapevolezza sociale delle donne”. In effetti, soprattutto nelle regioni più povere del sud-est del Paese, esiste un fenomeno preoccupante di dispersione scolastica delle ragazze: “se non c’è istruzione, ci sono matrimoni precoci; se non c’è istruzione, c’è discriminazione; se non c’è istruzione, c’è disoccupazione femminile” ha concluso Oygür.

I comunisti turchi criticano Erdogan

“Le donne non chineranno il capo” afferma lo striscione delle donne comuniste del TKP

L’organizzazione femminile del Partito Comunista di Turchia (TKP) si è schierata contro la decisione di Erdogan e ha rilasciato la seguente dichiarazione: “sebbene la Convenzione di Istanbul non sia sufficiente nella lotta per porre fine alle disuguaglianze sociali e alla violenza contro le donne, obbliga gli Stati a proteggere gli individui dalla violenza e ad accelerare i processi giudiziari”. Secondo il TKP, il governo di Ankara, di cui ne attacca l’orientamento religioso, ha dimostrato “di non curarsi affatto degli omicidi di donne, nonostante i numeri siano in crescita”. Anche le donne del Partito della Liberazione Popolare (HKP), una sigla che si rifà al pensiero del marxista e patriota turco Hikmet Kivilcimli, hanno spiegato che “la Convenzione di Istanbul non è stata un rimedio all’oppressione delle donne: la violenza le molestie e gli stupri sono aumentati di giorno in giorno, ma perlomeno stava portando ad alcune soluzioni”. Secondo HKP “la soluzione principale è eliminare l’oscurantismo e il sistema capitalista sotto la guida della classe operaia maschile e femminile”.

Procedura scorretta: Erdogan porti la questione in parlamento

Il Partito Democratico della Sinistra contesta la legalità del decreto

Il riformista Partito Democratico della Sinistra (DSP) che si definisce “patriottico e di sinistra” e che fu al governo del Paese prima dell’avvento di Erdogan nel 2002, contesta la decisione ma si focalizza sul dato giuridico più che che su quello politico: “una Convenzione Internazionale, ratificata dalla Grande Assemblea Nazionale Turca con Legge n. 6251 del 24 novembre 2011 non può essere abolita con un decreto del Presidente. Bisogna correggere subito questo errore” ha espresso il Comitato Centrale del Partito guidato da Önder Aksakal senza però entrare ulteriormente nel merito della questione anche perché in sé Erdogan disporrebbe della maggioranza dei deputati e l’esito non sarebbe verosimilmente diverso qualora la questione finisse effettivamente in parlamento. Il DSP ha passato insomma all’acqua bassa sul tema in sé, non è da escludere per i motivi ideologici espressi dalla CKD. L’altra corrente socialdemocratica del Paese, l’europeista Partito Repubblicano del Popolo (CHP), attraverso una dichiarazione della responsabile della sua sezione femminile, Aylin Nazlıaka, ha condannato senza mezzi termini il presidente della Repubblica parlando di “giustizia maschilista” e ha dichiarato che Erdogan “ha oltrepassato una linea rossa”!

Il femminismo borghese al servizio dell’imperialismo

Meltem Ayvali contro i “gender studies”

Molto più netta e di tutt’altro orientamento la valutazione dell’Avanguardia Femminile (Öncü Kadin), il movimento che organizza le donne del partito rivoluzionario Vatan Partisi di tradizione maoista che si oppone con forza alle deviazioni del movimento femminista borghese sulle teorie post-strutturaliste dette del “Gender Fluid Masculinity Sticky” in voga nelle università occidentali. Meltem Ayvali, laureata in farmacia e presidente dell’organizzazione, ha dichiarato in conferenza stampa che la decisione segna un ulteriore passo della Turchia fuori dal campo atlantico verso l’Eurasia: “sebbene la Convenzione di Istanbul affermi che il suo scopo è prevenire la violenza contro le donne, è in realtà un testo che nasconde l’accettazione dell’ideologia ‘gender’ occidentale. La Turchia con questa decisione dimostra invece di voler fare affidamento anzitutto sulle proprie leggi”. Ayvali ha continuato spiegando che “ora finalmente la lotta alla violenza contro le donne non potrà più essere strumentalizzata per altri motivi”. Il riferimento qui è al rapporto del GREVIO, il gruppo di esperti internazionali incaricato di vigilare sull’attuazione della Convenzione, in cui – a detta del Partito – parlando della violenza contro le donne in Turchia, ne approfittava per tirare giudizi favorevoli al separatismo etnico ai danni dell’unità nazionale e della Rivoluzione repubblicana. All’Avanguardia Femminile ha fatto eco la già citata CKD che, a sua volta, ha stigmatizzato il rapporto del GREVIO per aver tentato, usando la Convenzione di Istanbul, “di condannare la lotta del nostro Paese al terrorismo separatista”.

Passi avanti nella lotta ai matrimoni forzati”

Tuttavia, accanto alle critiche rivolte ad Ankara, che investirebbe troppo poco nella prevenzione e nelle strutture di ascolto delle donne soprattutto nelle aree rurali e in quelle a maggioranza curda, a detta proprio del GREVIO nella sua prima relazione generale sulle attività del gruppo di esperti che copre il periodo che va da settembre 2015 al maggio 2019 la Turchia di Erdogan “ha adottato un progetto di strategia nazionale per la lotta ai matrimoni precoci e forzati”. GREVIO ha pure elogiato la creazione di 31 centri di monitoraggio infantile, ossia unità ospedaliere specializzate nell’assistenza ai minori vittime di abusi sessuali e/o matrimoni forzati. Sempre dal documento stilato nel 2020 si legge come “le autorità turche stanno valutando come replicare il modello dei centri di monitoraggio infantile allo scopo di creare centri di riferimento per la violenza sessuale o centri di crisi per stupri per le vittime adulte”.