Lo scorso mese di aprile – ma le conclusioni sono state rese note solo di recente – si è svolto un simposio internazionale sul nuovo ordine geopolitico multipolare promosso dal partito dalla sinistra patriottica turca Vatan Partisi e a cui hanno preso la parola 38 relatori. Fra coloro che hanno tenuto i discorsi anche due politici marxisti svizzeri: Massimiliano Ay e Zeno Casella, non a caso entrambi fra i vertici del Partito Comunista, organizzazione a cui, nonostante le modeste dimensioni, viene riconosciuta una grande conoscenza delle dinamiche geopolitiche e che gode di prestigio fra vari movimenti di liberazione nazionale.
Fra i relatori vi erano poi anche diplomatici come l’ex-ambasciatore francese Michel Raimbaud, il giornalista italiano e direttore de “L’Antidiplomatico” Fabrizio Verde nonché accademici e intellettuali che mai sentirete nei salotti buoni delle nostre televisioni, ad esempio Fuhan Izadi, professore all’Università di Tehran; Mehmet Perinçek, già insegnante all’Università Statale di Mosca; Alexander Dugin, docente all’Università Fudan di Shangai e Smail Debeche, ricercatore dell’Università di Algeri. Oltre ai già citati comunisti svizzeri, la parte politica era affidata, fra gli altri, a rappresentanti del Partito dei Lavoratori del Bangladesh, del Partito Comunista Cinese e del Partito Socialista Unito del Venezuela: tutti e tre partiti attualmente al governo!

Perché una nuova geopolitica?
Il sistema neo-liberale è stato progettato per consolidare l’egemonia statunitense e ora è in crisi irreversibile: questa è la tesi con cui gli organizzatori turchi hanno convocato il simposio. Insomma per quante guerre potranno scatenere con la NATO e per quante fakenews potranno inventare con i loro giornalisti “progressisti”, il sistema atlantico è destinato a perdere e quindi “il mondo è ora alla ricerca di un nuovo ordine basato sulla giustizia e l’equità. Questa ricerca non si limita solo alle nazioni oppresse e in via di sviluppo, che costituiscono il principale bersaglio dei diktat del sistema imperialista, ma riguarda anche i paesi capitalisti sviluppati diversi dagli Stati Uniti, anch’essi sottoposti all’egemonia americana» spiega l’accademico turco Semih Koray che del Vatan Partisi è il responsabile per le relazioni internazionali. Lo ribadisce anche Dogu Perinçek, il “grande vecchio” della corrente filo-cinese della sinistra rivoluzionaria turca, che ha definito l’epoca in cui viviamo come quella della difesa degli stati nazionali e del progredire delle rivoluzioni nazional-democratiche che – pur essendo patriottiche non resteranno più chiuse nei confini nazionali – e che apriranno “nuove prospettive per il socialismo”. E questo è merito anche della strategia del governo della Repubblica Popolare Cinese.
I cinesi propongono un rinnovamento della teoria leninista dell’imperialismo

Ed ecco che proprio dalla Cina hanno subito preso la parola Zheng Dongchao in rappresentanza del Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese e Lu Baolin, ricercatore dell’Università di Fujian: quest’ultimo ha presentato un rinnovamento della teoria leninista dell’imperialismo: “Il neoimperialismo è la specifica fase contemporanea dello sviluppo storico che caratterizza la globalizzazione economica e la finanziarizzazione del capitalismo monopolistico” – hanno spiegato gli accademici cinesi, identificandone alcune caratteristiche, fra cui l’internazionalizzazione della produzione e della circolazione insieme all’intensificarsi della concentrazione del capitale; il monopolio monetario del dollaro USA e della proprietà intellettuale, che genera una ineguale divisione internazionale del lavoro e la polarizzazione dell’economia globale e della distribuzione della ricchezza e l’intensificarsi di crisi sistemiche che impongono un capitalismo monopolista di tipo predatorio, parassitario e decadente.
Ay: “c’è una frattura interna alla borghesia svizzera e il discrimine è la Cina”!

Mentre Zeno Casella ha sottolineato come occorra difendere la neutralità svizzera come potenziale strumento a favore della pace e che su questo terreno occorre lavorare molto con i giovani vittime dell’indottrinamento militarista e imperialista, Massimiliano Ay ha invece insistito sulla frattura interna alla borghesia svizzera che si determina proprio nella scelta di relazionarsi o col campo atlantico o con la Cina (e in generale con l’intera area euroasiatica). Il segretario dei comunisti svizzeri ha invitato gli altri interlocutori a non sottovalutare la grande capacità del sistema neo-liberale e atlantista, tramite un incessante softpower e a vari strumenti intellettuali, di mantenersi al potere ancora a lungo.