“Lo Stato deve mantenere sotto controllo la sua spesa prima di chiedere nuovi soldi ai cittadini”. Questa è, In estrema sintesi, la ragione che ha spinto la destra ticinese a lanciare l’iniziativa popolare intitolata “Basta tasse e basta spese, che i cittadini possano votare su certe spese cantonali”. Il testo in votazione il prossimo 26 settembre propone di introdurre in Ticino lo strumento del referendum finanziario obbligatorio, in virtù del quale il popolo sarebbe chiamato a votare su tutte le nuove spese pubbliche che superano un determinato limite (20 milioni di franchi per gli investimenti “una tantum” e 5 milioni per almeno quattro anni per le spese correnti). Contro lo “Stato spendaccione” si è schierata anche una maggioranza del parlamento cantonale, che ha approvato un controprogetto che prevede anch’esso l’introduzione del referendum obbligatorio, anche se con soglie diverse (30 milioni per gli investimenti e 6 milioni per le spese correnti). Malgrado l’importanza del tema, il dibattito in merito è assai ridotto e ben poche sono le voci critiche contro questo progetto, oscurato da una tornata elettorale concentrata sulle concomitanti votazioni federali.

L’Associazione per la difesa del servizio pubblico: “No al meno Stato”!
Tra le più autorevoli voci dissenzienti vi è sicuramente l’Associazione per la difesa del servizio pubblico (ASP), che raggruppa vari volti noti dell’area progressista ticinese: nel comitato dell’ASP troviamo ad esempio Graziano Pestoni (presidente dell’Unione Sindacale Ticino e Moesa), Lea Ferrari (deputata comunista e municipale di Serravalle), Anna Biscossa (deputata socialista e già presidente del PS Ticino) e Rudi Alves (membro del Comitato Centrale del Partito Comunista e coordinatore del SISA, il sindacato studentesco ticinese).
L’ASP ha le idee in chiaro sulle intenzioni dei promotori del referendum finanziario obbligatorio: in un comunicato, si afferma che “lo scopo primo dell’iniziativa risiede nel voler ridurre l’intervento dello Stato in campo sociale, sanitario, scolastico, culturale, di politica economica o regionale”. Si tratta dunque di “una modifica ideologica neo-liberale e meno-statista”: ricordando come nemmeno il Governo cantonale lo abbia ritenuto necessario, l’associazione descrive infatti il referendum obbligatorio come “un inutile e pericoloso strumento che metterebbe a rischio gli interventi pubblici”.

In un suo recente articolo, il presidente dell’ASP Diego Scacchi (già deputato e sindaco di Locarno, proveniente dall’area radicale del PLR) ha ritenuto importante rimarcare l’assenza di una qualsiasi necessità istituzionale di introdurre questo ulteriore strumento di consultazione popolare. Secondo Scacchi, “in una democrazia semi-diretta vanno attentamente contemperate le prerogative da una parte dei cittadini-elettori e dall’altra degli organi legislativi: non va dimenticato che questi sono eletti dal popolo il quale, dando la sua fiducia ai suoi rappresentanti, deve pur riconoscere loro una precisa competenza in materia legislativa e finanziaria”. Con il referendum finanziario obbligatorio, si andrebbe a costituire una differenziazione priva di qualunque valida ragione: Scacchi rileva infatti che “per quanto attiene alle decisioni di pertinenza del Gran Consiglio, non esiste assolutamente la necessità di privilegiare, con un voto obbligatorio da parte del popolo, un settore dell’attività parlamentare, cioè le spese pubbliche, rispetto ad altri settori, tra i quali quello fondamentale dell’approvazione o modifica delle leggi”.
Per il Partito Comunista, “va difeso il ruolo regolatore dello Stato”
Una ferma opposizione all’iniziativa al referendum finanziario giunge anche dal Partito Comunista (PC), che in una nota invita a respingere sia l’iniziativa che il controprogetto. Tre sono le principali ragioni per cui i comunisti invitano a respingere la proposta della destra: “la più importante è il rischio di rallentare gli investimenti pubblici, essenziali per lo sviluppo del nostro Cantone” e per “migliorare le condizioni di vita delle classi popolari”. In secondo luogo, per il PC “il referendum obbligatorio potrebbe lasciare più spazio ad atteggiamenti regionalistici, per cui gli investimenti a vantaggio di una determinata area geografica potrebbero essere bocciati dai cittadini abitanti altrove”. Infine, il comunicato comunista ricorda la funzione redistributiva della spesa pubblica: “sottoporre al referendum obbligatorio ogni nuova spesa pubblica significherebbe mettere a rischio quegli interventi essenziali per riequilibrare (almeno parzialmente) le gravi disparità di reddito e di ricchezza che permangono nella nostra società”.

Ma non tutta la sinistra ticinese è unanime nel respingere il referendum finanziario proposto da UDC e Lega: il Movimento per il socialismo (MPS) capitanato da Pino Sergi e Matteo Pronzini in parlamento ha infatti votato a favore dell’iniziativa! Una decisione che potrebbe sembrare sorprendente, ma che non stupisce il PC: da noi interpellata, la deputata comunista Lea Ferrari ha dichiarato che “il sostegno trotskista all’iniziativa dell’ultra-destra si inserisce nel solco della deriva populista di MPS: tutto fa brodo finché si tratta di togliere legittimità alle istituzioni democratiche e allo Stato. Il fatto che quest’ultimo, benché borghese, garantisca ancora determinate garanzie sociali non entra in linea di conto per il duo Sergi-Pronzini, che si illude di poter raccogliere consensi sull’onda della propria campagna anti-politica che in realtà colpisce l’intera area progressista”.