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L’immobilismo prevale nel gioco quirinalizio

La campagna elettorale per la presidenza della Repubblica italiana non è stata argomento nelle due settimane precedenti il voto del Parlamento, come d’abitudine, ma ha occupato quotidiani e televisioni per sei mesi, fin dall’estate precedente, con una ridda di nomi, di speculazioni, di invenzioni, che non ha eguali nella storia italiana. Il Partito Democratico, totalmente subalterno e supino agli interessi della NATO e dell’Unione Europea, ha rinunciato a qualsiasi intesa, che si sarebbe potuta costruire intorno ai nomi di Marta Cartabia o di Elisabetta Belloni, per porsi per intero al servizio delle aspirazioni presidenziali di Mario Draghi e dei suoi promotori internazionali, da Biden alla Banca Centrale Europea. Meloni e Salvini hanno provato, senza riuscirci, a promuovere una donna al Quirinale, ma addirittura il quotidiano “Il Manifesto” si è accodato ai voleri di Washington, respingendo questa ipotesi e alla fine Renzi e Letta, dopo aver eretto un muro di veti per una settimana, hanno imposto Mattarella, costretto contro la sua stessa volontà a restare presidente della Repubblica e almeno per le indiscrezioni non disposto a una presidenza a tempo di qualche anno, ma pronto ad assolvere, laddove le energie lo sostengano, il mandato nella sua interezza settennale.

Di fatto Enrico Letta si è fatto silenzioso esecutore del ricatto di Mario Draghi che avrebbe voluto solo lui stesso sul colle in alternativa alla conferma di Mattarella e al poco credibile Giuliano Amato, suo amico di vecchia data, da quando Draghi stesso organizzava le privatizzazioni e la distruzione dello stato sociale italiano in combutta con Andreatta e Ciampi.

Ne emerge un quadro politico desolante, un Movimento 5 Stelle incapace di avanzare proposte, nonostante la buona volontà di Giuseppe Conte, sebbene avesse potuto disporre a queste presidenziali di quasi un quarto dei 1009 grandi elettori diventando subalterno ai due schieramenti di destra e sinistra, una sinistra socialdemocratica e liberale, al pari dei centristi di tutte le denominazioni, che diventa in tutto e per tutto strumento del nuovo clima di guerra fredda. I socialdemocratici si proclamano vincitori ma non lo sono affatto, nonostante la grancassa mediatica dei loro giornali e delle loro televisioni. Peggio, l’incapacità di trovare un nuovo nome e di promuovere una donna spalanca le porte al presidenzialismo di fatto, come da intenzioni non solo di alcuni politici italiani di oggi, ma anche in passato di Bettino Craxi e di Licio Gelli, che proprio il presidenzialismo pretendeva come modifica costituzionale nel programma della P2.

Per altro il palese atteggiamento di immobilismo e arroganza della socialdemocrazia italiana regala, vista l’esiguità delle forze marxiste, per intero alle destre della Lega e di Fratelli d’Italia la rappresentanza delle classi sociali subalterne, dei nuovi esclusi da un capitalismo rapace che offre lavoretti o lavoro a tempo, ma in entrambe i casi remunerato poche centinaia di euro.

Nel frattempo il governo Draghi manganella gli studenti che protestano contro l’alternanza scuola – lavoro, che ha cagionato la morte di un ragazzo friulano, lascia inascoltati gli operai delle fabbriche che chiudono e delocalizzano, procede spedito nella gestione dei soldi europei che arrivano solo in prestito e con non sono utilizzati per aiutare i cittadini, ma solo per rimpinguare gli utili delle aziende.

Davide Rossi

Davide Rossi, di formazione storico, è insegnante e giornalista. A Milano dirige il Centro Studi “Anna Seghers” ed è membro della Foreign Press Association Milan.