L’assemblea regionale del sindacato Syndicom del Canton Ticino e del Moesano si è riunita il 2 aprile scorso a Bellinzona, finalmente in presenza dopo due anni di stop forzato a causa della situazione sanitaria. Una pandemia che, al di là della tragicità dell’evento, ha avuto però anche un risvolto «positivo» nella misura in cui si è riaffermata l’importanza dei lavoratori dei settori di competenza di Syndicom e del servizio pubblico in generale: «Abbiamo superato insieme la pandemia grazie alla Posta che ha consegnato pacchi a domicilio, alle telecomunicazioni che hanno permesso a molti di continuare a lavorare da casa, all’informazione che ha vigilato sulle fake news. Ora si potrà tornare a incontrare i lavoratori sul posto di lavoro, a coinvolgerli in assemblee e manifestazioni collettive» – afferma il sindacato in una nota.

Un po’ di internazionalismo
Ospite dell’assemblea era il giornalista Sergio Ferrari, storico membro di Syndicom, corrispondente dalla Svizzera per diverse testate latino-americane, prigioniero politico ai tempi della dittatura in Argentina e vicino all’associazione di cooperazione ALBA SUIZA sostenitrice della Rivoluzione bolivariana in Venezuela. L’assemblea, oltre all’ultima fatica letteraria di Ferrari, ha affrontato anche un altro tema di attualità internazionale: la guerra in Ucraina. Un pensiero di vicinanza è stato infatti indirizzato «a chi è vittima di repressione, in Ucraina, in Russia e in tutto il mondo, auspicando la fine della guerra». Un messaggio che colpisce perché finalmente un sindacato svizzero riconosce che pure in Ucraina è in corso una repressione: dopo il rogo della Casa dei Sindacati di Odessa del 2014, dove sono stati assassinati militanti sindacali e addirittura dei minorenni e su cui il regime di Kiev ha impedito ogni indagine, di recente sono stati messi al bando tutti i partiti di sinistra ucraini, persino quelli socialdemocratici: da almeno otto anni inoltre non esiste libertà sindacale perché i sindacalisti vengono accusati di essere al servizio di Putin, eppure troppi sindacalisti svizzeri se ne sono dimenticati; Syndicom ha saputo dimostrarsi più equilibrato!
Ancora problemi alla Posta
I lavoratori chiedono migliori condizioni di lavoro soprattutto nella logistica ma in generale anche nel settore postale. Compatti, i presenti all’assemblea sindacale, hanno affermato: «basta con l’attuale politica di assunzioni alla Posta con contratti a tempo parziale o tramite agenzie interinali, con salari che non permettono una vita dignitosa in Ticino». La Posta è un’azienda detentrice del servizio universale nel recapito appartenente alla Confederazione e deve ritornare ad essere un’azienda che offre posti di lavoro stabili e che permettano di vivere sul nostro territorio, rivendicano i postini. Nel recente passato sempre l’assemblea di Syndicom, aveva chiesto il ripristino della regia federale della Posta, come peraltro richiede una mozione del deputato Massimiliano Ay a nome del Partito Comunista che ancora giace nei cassetti del Gran Consiglio ticinese e che ha raccolto l’adesione anche dell’ex-presidente dell’Unione Sindacale Ticino e Moesa Graziano Pestoni, come ricordato dal nostro portale qui (leggi qui). Il sindacato insiste poi nel chiedere di finirla con «l’attuale politica di assunzione che prevede solo tempi parziali, contratti a tempo determinato, assunzioni tramite agenzie interinali e bassi salari». Oltre a salari mensili di 2’000-3’000 franchi, decisamente bassi, «viene richiesta una flessibilità estrema che rende difficile la ricerca di un secondo impiego». E come se non bastasse la Posta nel 2021 ha soppresso pure i buoni postali per i propri pensionati. E questo di fronte a un utile di 457 milioni di franchi.

Ci vuole un CCL per i giornalisti
I rappresentanti del sindacato dei media e della comunicazione hanno pure espresso la loro preoccupazione «per il peggioramento della qualità e dell’indipendenza dell’informazione dopo il referendum del 13 febbraio sul sostegno ai media». Tuttavia su questo aspetto, a sinistra, il dibattito non manca: il Partito Comunista – sempre molto vicino alle rivendicazioni dei sindacati – pur votando a favore di tale pacchetto di aiuti, aveva diramato un documento in cui si era posto in modo piuttosto “freddo”, dimostrando di essere peraltro un partito sempre attento ma anche “originale” e su cui anche il nostro portale aveva riferito (leggi qui). In particolare i comunisti denunciavano il fatto che «l’80% del mercato elvetico è in mano a soli 3 gruppi editoriali, che controllano giornali, riviste, radio e TV private di tutto il Paese». Il Partito Comunista aveva anche auspicato che le autorità federali «si impegnino per esigere la conclusione di un Contratto Collettivo di Lavoro (CCL) nel settore e che vengano introdotte delle specifiche clausole che impediscano agli editori di intascare fondi pubblici per ingrassare i propri azionisti». L’assemblea di Syndicom ha confermato questa necessità: in particolare ai rappresentanti degli editori ticinesi è stato chiesto di «aprire una trattativa volta a negoziare un CCL (che manca ormai da 18 anni) che consentirebbe di affrontare in modo congiunto i crescenti problemi della categoria».