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Il 75° della NATO, la guerra mondiale e la fine dell’impero – Sinistra.ch

Il 75° della NATO, la guerra mondiale e la fine dell’impero

Nonostante l’atmosfera forzatamente festosa, sopra le celebrazioni del 75° della NATO a Washington aleggia e svolazza lugubre la morte, come in alcuni spaventevoli dipinti tardomedievali. La NATO, con tutto il suo carico scheletrito di vittime innocenti e il suo eterno e più fedele alleato, ovvero la guerra, sta per dispiegare l’ultima tappa di un cammino drammatico e pericoloso per l’umanità intera, un carnevale di morte che avrà, con l’ingresso dell’Ucraina nella NATO, l’ultimo atto simbolico e al contempo concreto del dispiegamento del conflitto, non più solo culturale ed economico, ma anche armato, tra Occidente e sino-russi. 

Aggredito Orban, definito un agente di Putin, per la sola volontà di dialogare con il presidente russo in cerca di una dimenticata e introvabile pace, ammoniti i cinesi: gli occidentali non compreranno più neppure uno spillo da loro e se non si piegheranno sarà la guerra nell’Indo – Pacifico, tutto è pronto per l’atto finale di una follia lucidissima, tentare il tutto per tutto per restituire all’impero morente il suo posto centrale e autodichiaratamente sovraordinato nel mondo.

La bestialità dell’imperialismo statunitense sta anche nell’assurda, blasfema e feroce sacralità mistica del suo potere, il quale, ben annidato nell’amministrazione, nei servizi segreti, nel Pentagono, nella finanza squallidamente speculativa, si rappresenta e autorappresenta attraverso il corpo del presidente, corpo fisico ma anche e soprattutto corpo mistico, come quello dei sovrani francesi dell’Ancien Régime e in cui le senescenti membra di un confuso e marionettistico Biden sono l’immagine perfetta dello sgretolarsi ultimo e finale di un potere arrogante che assiste, pur non volendo ammetterlo e non vedendolo, al suo tramonto.

Sacerdoti di questo rito infame e assassino, latore della guerra mondiale, i neocon statunitensi, che sono di fatto, pur a loro insaputa, criptotrotzkisti. Essi da sempre teorizzano, da quando si sono incistati putridamente dentro la Casa Bianca, giusto mezzo secolo fa, nell’estate 1974 con l’avvento alla presidenza di Gerald Ford, lo stato di imperialità permanente, ovvero un destino presuntamente indiscutibile che identifica Washington con l’ente supremo, ovvero divino, chiamato a determinare l’ordine mondiale, comandando e disponendo a libero piacimento del destino di tutti i popoli e di tutte le nazioni della terra. Dominio permanente, fratello monozigote del concetto trotzkista della rivoluzione permanente, due imbecillità in una, totalmente antistoriche, concepibili solo da ignoranti della vita e appunto della storia, perché la vita e la storia hanno sempre inizio, trasformazione, cambiamento, conclusione, nuovo inizio e così via.

Tali nefasti celebranti del dominio assoluto e incontrastato del potere speculativo e finanziario dell’imperialismo statunitense hanno vissuto nei primi anni ‘90 dello scorso secolo il loro delirio di orgiastica felicità, la scomparsa del campo sovietico, il dilagare planetario del liberismo, i cannoni a stelle e strisce in ogni angolo della terra. Ebbri della loro follia, hanno cercato un vate che teorizzasse l’implacabilità della loro vittoria, presuntamente eterna, e l’hanno trovato in Francis Fukuyama, inventore della fine della storia e del trionfo planetario del liberal – liberismo. Insomma, avevano vinto loro senza possibilità di replica, un game over, la sottomissione all’imperialismo per tutta l’umanità. Tuttavia, come sempre, il delirio dell’arroganza esalta adrenalinicamente, ma rende ciechi.

Così mentre gli imperialisti traevano furibondi vantaggi economici, militari e politici, da quella vittoria che era solo temporanea, ma che appunto immaginavano duratura per i secoli dei secoli, ecco che il resto dell’umanità, silenziosamente, da Pechino a Teheran, da Mosca a Ouagadougou, capiva la necessità di costruire un nuovo ordine mondiale, multipolare e cooperativo, per porre fine all’epoca della depredazione e iniziare un nuovo cammino per tutte le donne e gli uomini della terra.

Era l’alba di una teoria politico-economica capace di cambiare il destino del XXI secolo e di quello di tutte e tutti noi che in questo tempo viviamo. Oltre un decennio fa, quando le presidenze russa e cinese stringevano i legami sostanzialmente monolitici che avrebbero condotto la partita del cambiamento, in pochi abbiamo capito, analizzato e studiato quanto stava avvenendo e abbiamo parlato e scritto, incompresi e inascoltati, del tempo nuovo e affascinante del multipolarismo.

La guerra che Washington pretende ora al più presto è questa: provare a distruggere il nuovo ordine mondiale in costruzione per ripristinare l’antico dominio. Tuttavia oggi in Africa, Asia, Medioriente, America Latina, le donne e gli uomini sanno che la bandiera della libertà statunitense nasconde il furto delle materie prime energetiche e alimentari, portatore di miseria e sottomissione, i padroni la chiamano democrazia, in realtà – tutti lo sanno – è brutale neocolonialismo. Così già oggi un quarto delle nazioni della terra commercia in yuan e non più in dollari, vende a russi e cinesi che pagano venti volte di più quello che i democratici propugnatori della lotta contro le autocrazie rubavano a prezzo di furto, collaborano con russi e cinesi che costruiscono infrastrutture e puntano a uno sviluppo generalizzato di quel Sud globale che ha smesso di essere l’evanescente e muto schiavetto dell’Occidente. Quest’ultimo non è più la città sulla collina – immagine evangelica violentemente usurpata dagli statunitensi per secoli – a cui tutti guardano con ammirazione: l’impero si sgretola e il comandante in capo, l’incerto e malfermo Biden, somma in sé il declino fisico, politico, economico e militare dell’impero stesso.

L’eterno presente senza domani non esiste, la storia è in cammino e i tempi e i modi del futuro non saranno dettati dalla NATO e dagli Stati Uniti. Come la Sibilla cumana, al potere imperiale a stelle e strisce è mancata la saggezza di chiedere la freschezza della giovinezza, ne rimarrà dunque, pur al termine di terribile guerra che lo stesso impero scatenerà, il rantolio sordo che ancora oggi si percepisce visitando l’oscura grotta della Sibilla, per lei ricordo indelebile dei suoi errori, per gli imperialisti del male che hanno perpetrato.

Davide Rossi

Davide Rossi, di formazione storico, è insegnante e giornalista. A Milano dirige il Centro Studi “Anna Seghers” ed è membro della Foreign Press Association Milan.