Senza guerra la UE perde ogni speranza

Di Dante Barontini

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Le trattative per arrivare alla pace in Ucraina non sono ancora iniziate e difficilmente lo saranno prima di qualche mese. Ma si sa già chi esce triturato e annullato da questa eventualità: l’Unione Europea come istituzione e l’arco “liberal-democratico” come fronte politico.

Basta ascoltare i balbettii dei pochi “commissari europei” che si avventurano a fare dichiarazioni – mentre Ursula von der Leyen si è inabissata come Giorgia Meloni nei giorni del “caso Paragon” – per capire la portata dello shock subito.

Non è facile per nessuno stare tre anni in guerra (anche se soltanto sul piano finanziario e delle forniture di armi) e svegliarsi una mattina in un altro scenario che rende inutile – anzi stupidamente suicida – tutto quel che hai fatto.

Ma nel caso dei liberaldemocratici “europeisti” c’è pure l’aggravante del rifiuto della realtà. Sia quella “nuova”, che pure era ampiamente prevedibile dopo le elezioni statunitensi di novembre, sia quella precedente, in cui la propaganda bellicista oscurava persino la comprensione piena di quanto avveniva – e a maggior ragione avviene ora – sul campo di battaglia.

Citeremo solo scampoli memorabili come “Putin ha il cancro ed è moribondo”, “i russi hanno finito le munizioni e combattono con le pale”, “non hanno più neanche i calzini”, “la controffensiva di primavera” e amenità del genere. Comprensibile che la propaganda di guerra sia prodotta, meno spiegabile che i dirigenti europei abbiano creduto alle loro stesse menzogne.

2 giugno 2022, La Repubblica: “Putin è malato di cancro”. Uno tra i tanti deliri della stampa mainstream.

Lo stato comatoso di questo schieramento è ben riassunto da Raphaël Glucksmann, eurodeputato francese teoricamente “socialista”, tra quelli che hanno salvato il governo Bayrou dalla mozione di sfiducia presentata da La France Insoumise, intervistato oggi dalla testata capofila dei “disperati” in Italia: il Corriere della Sera.

«Per l’Ucraina e per l’Occidente è una catastrofe, perché a Trump interessano solo le terre rare dell’Ucraina ed è pronto a cedere alle richieste di Putin. A Monaco il vicepresidente americano Vance incontrerà Zelensky, ma i giochi sono già fatti. La conferenza di Monaco ha la forza del simbolo: una resa, come nel 1938. È la fine dell’Occidente per come lo conosciamo».

Neanche uno dei luoghi comuni della vecchia propaganda viene evitato da questo povero rimbambito ancor giovane: «Putin è incoraggiato ad andare avanti. […] Putin metterà alla prova direttamente le nostre difese nei prossimi anni».

Insomma, il vecchio “vuole arrivare fino a Lisbona” nonostante lo stesso Glucksmann confermi, subito dopo, l’altra vecchi bufala secondo cui «Putin non ha vinto sul campo di battaglia, nonostante le zone occupate e i pochi chilometri rosicchiati mese dopo mese. Da un punto di vista militare la situazione è ancora aperta». Neanche si accorge di dire due cose opposte (“non sta vincendo neanche contro la sola Ucraina”, quindi è debolissimo, e “ci travolgerà tutti” perché è fortissimo).

Il tutto per arrivare al vero punto strategico: «se non facciamo qualcosa, non si fermerà». E quel “qualcosa” è per un verso aumentare le spese militari, per l’altra spedire più armi a Kiev (ignorando il dato di fatto, ammesso anche dai capi dell’esercito, che a questo punto l’Ucraina è a corto soprattutto di uomini) perché la guerra continui come prima, anche senza contributo statunitense.

Il “socialista” francese Raphaël Glucksmann, noto partigiano della guerra totale alla Russia, dipinge scenari apocalittici dopo la telefonata Trump-Putin.

Tanta disperata spinta a “fare qualcosa” ha comunque una spiegazione: i ventisette paesi della UE sono già ora molto divisi sulla guerra. Da una parte ci sono i neonazisti pazzi come i baltici e la Polonia (“che si stanno già preparando a una nuova guerra, sul suolo dell’Unione europea“), dalla parte opposta chi non può fare a meno del gas russo e quindi sta tirando un sospiro di sollievo (Slovacchia e Ungheria, peraltro con due governi politicamente opposti). E in mezzo i paesi più importanti economicamente (Francia, Germania, Italia) che non sanno più cosa fare ( ma per Glucksmann “non hanno fatto abbastanza” nel sostenere Kiev).

Un continente diviso, che già quando era formalmente “unito” veniva usato dagli Usa di Biden come scendiletto politico e hub logistico per gli aiuti all’Ucraina, nella nuova situazione non conta più assolutamente nulla.

Lo si è visto con l’ironica risposta di Peskov, portavoce di Putin, a chi gli chiedeva se la UE sarebbe stata coinvolta nelle trattative (“chiedete agli Stati Uniti”). E ancora più nella sprezzante ma puntuale nota di Anna Zakharova, portavoce del ministro degli esteri Lavrov, in cui ricorda l’idiozia e la malafede dei principali leader europei ai tempi degli “accordi di Minsk” e che va riportata quasi per intero.

«Vorrei ricordarvi che sono stati i leader dell’UE – la cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente francese Francois Hollande – a dichiarare apertamente, non molto tempo fa, di non avere alcuna intenzione di attuare gli accordi di Minsk, sebbene in precedenza avessero assicurato al mondo il contrario. Ora la loro posizione ufficiale è che gli accordi di Minsk erano un tentativo di riarmare Kiev e “darle tempo”.

In altre parole, hanno finto di lavorare in buona fede con l’Ucraina, ma in realtà erano impegnati in una pantomima maligna.

Il problema non è solo che hanno mentito, ormai tutti ci si sono abituati. Il problema è che hanno tradito gli interessi dell’Europa, e questo tradimento è una delle ragioni della tragedia.

Gli accordi di Minsk sono entrati a far parte del sistema di diritto internazionale grazie alla loro approvazione da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Ciò significa che erano soggetti a un’applicazione obbligatoria.

Sia Hollande che Merkel e, naturalmente, la leadership italiana, lo sapevano perfettamente allora e se ne rendono conto oggi. Violando il diritto internazionale, cosa che ora ammettono apertamente, i cittadini dell’UE sono diventati complici principali della catastrofe che si è verificata in Ucraina e, come risultato delle loro azioni, hanno ottenuto un conflitto armato nel continente europeo.

Se le norme di Minsk fossero state rispettate, avrebbero salvato l’Ucraina e allo stesso tempo avrebbero alleviato l’attuale situazione poco invidiabile dei cittadini dell’UE, il cui benessere è stato significativamente ridotto a causa delle azioni errate e talvolta semplicemente criminali dei loro leader.»

Maria Zakharova rammenta all’Europa la sua falsità e il tradimento degli accordi di Minsk.

Errori gravi di valutazione e inesistente credibilità politica, insomma, da parte dell’”Europa”. Nelle relazioni internazionali sono due cose che si pagano molto care, in genere.

Ma è inutile pretendere dai liberal-democratici, e dai loro media di riferimento, anche soltanto un briciolo di riflessione, ripensamento o – dio non voglia – “autocritica”. Questi invasati senza più un progetto strategico (anche se molto malpensato, come abbiamo visto) non sano far altro che insistere.

Ma proprio insistendo su un obiettivo ormai impossibile – la “vittoria ucraina” e la disgregazione della Russia – preparano la propria disgregazione politica, peraltro apertamente perseguita anche da Trump a colpi di dazi.

Disgregazione che si sommerà in breve tempo al disastro economico (le sanzioni unilaterali hanno penalizzato quasi soltanto le aziende europee mentre la Russia ha trovato molti altri clienti per gas e petrolio), al costo abnorme delle forniture energetiche “alternative” a Mosca e quindi alla sofferenza sociale interna che – malauguratamente e per colpa degli stessi “liberaldemocratici” – va rivolgendosi all’estrema destra.

La via d’uscita “a sinistra” è naturalmente una pur complicata ripresa della conflittualità sociale supportata da una “visione del mondo” che mai come in questo momento offre la possibilità reale di abbandonare il cadente convoglio imperialista occidentale e trovare vie diverse per lo sviluppo. Sia economico che, soprattutto, sociale.