“Bilaterali III? Una catastrofe per la Svizzera e i lavoratori”: intervista ad Alberto Togni

Riportiamo tradotta in italiano l’intervista del giornale comunista turco Aydınlık (uscita sull’inserto settimanale per l’Europa Aydınlık Avrupa) ad Alberto Togni, membro della Direzione del Partito Comunista della Svizzera, a proposito dei recenti Accordi Bilaterali III tra Svizzera e Unione Europea.

1- Per iniziare potrebbe informarci brevemente su questo accordo bilaterale? Che cosa riguarda?

Questi nuovi accordi vanno inseriti nel più ampio e complesso contesto di relazioni politiche economiche fra la Svizzera e l’Unione Europea.

Nel 1999 la Svizzera e l’UE firmarono il primo pacchetto di accordi bilaterali, che disciplinano le relazioni tra la Svizzera e l’Unione Europea in sette settori: la libera circolazione delle persone, gli ostacoli tecnici al commercio, gli appalti pubblici, l’agricoltura, la ricerca, i trasporti aerei e terrestri. Nel 2004 viene firmato un secondo pacchetto di accordi (Bilaterali II), che estendevano ulteriormente gli ambiti di “cooperazione” (io preferisco dire di sottomissione della Svizzera all’UE).

Già a partire dal 2008, l’Unione Europea ha iniziato a fare pressioni per un nuovo giro di accordi. Questi hanno mutato forma e sostanza nel tempo, ne parleremo più avanti, ma arriviamo a oggi dove vengono presentati come “accordi bilaterali III”.

Alberto Togni, membro della Direzione del Partito Comunista (Svizzera).

La premessa è che in verità nessuno ha potuto ancora leggere direttamente questa bozza di accordi perché il governo non li ha ancora pubblicati. Basandoci su quanto disponibile, sappiamo che ai cinque accordi precedenti ne verranno aggiunti tre nuovi nel settore energetico, sanitario e in quello della sicurezza alimentare. Vengono poi apportate importanti modifiche alla questione degli aiuti di Stato, che troveranno applicazione in questi tre nuovi accordi e nei cinque accordi dei “bilaterali I”. Sempre in questi accordi verrà anche introdotta la ripresa dinamica del diritto europeo. L’UE chiede inoltre alla Svizzera di allentare una serie di misure riguardanti le tutele dei lavoratori e i controlli svolti nelle imprese. Non da ultimo la Svizzera dovrà aumentare i suoi contributi milionari annuali versati all’Unione Europea.

2- Mentre il padronato sostiene l’accordo, i lavoratori sono arrabbiati. Può spiegarci meglio questa situazione? Cosa porta questo accordo alla classe operaia svizzera? Quali saranno i potenziali danni?

Questo accordo sarebbe una catastrofe per i lavoratori da ogni punto di vista.

Se ci concentriamo un attimo sulle questioni più strettamente legate al mondo del lavoro, come ha giustamente denunciato anche l’Unione Sindacale Svizzera (USS), emergono le seguenti problematiche: innanzitutto verrebbe quasi sicuramente a cadere una cauzione attualmente richiesta alle imprese, che può essere trattenuta come multa in caso di fenomeni di dumping salariale, venendo quindi meno l’effetto preventivo, ma anche la riscossione della penale a posteriori.

In serio pericolo è anche una norma che attualmente vieta ogni anno a 500-1000 imprese di operare in Svizzera a seguito di violazioni particolarmente gravi delle condizioni salariali.

Verrebbe poi introdotta la regolamentazione europea in materia di spese, che permetterebbe alle imprese straniere attive in Svizzera di rimborsare le spese di vitto e alloggio ai lavoratori secondo gli standard del Paese d’origine e quindi senza tenere conto del costo della vita in Svizzera. Questo risulterebbe in una perdita non indifferente di potere d’acquisto dei lavoratori, senza tenere conto delle conseguenze problematiche a livello di alloggio, salute e sicurezza (dove mangeranno e dormiranno questi lavoratori se non otterranno un rimborso che tenga conto del costo della vita in Svizzera?). Non da ultimo, vengono allentate determinate norme che renderebbero le attività di controllo più difficili. Nel complesso quindi si assisterebbe a un indebolimento della protezione salariale e al contempo a una maggiore facilità di ingresso nel nostro Paese di aziende truffatrici. Tuttavia, non è solo l’ambito “sindacale” a dover preoccupare i lavoratori. Con questi accordi, infatti, si attacca anche il servizio pubblico, portando avanti esplicitamente da un lato la volontà di proseguire la liberalizzazione totale del mercato elettrico in svizzero (una politica che l’esperienza insegna essere sempre causa di speculazione e successiva esplosione dei prezzi, a danno dei lavoratori ma anche delle piccole imprese), dall’altro l’introduzione di meccanismi di concorrenza nel traffico ferroviario, un primo passo verso la futura liberalizzazione, che a sua volta ha sempre portato a un peggioramento del servizio e delle condizioni di chi ci lavora.

Con i Bilaterali III, liberalizzazione in vista per il mercato energetico svizzero.

3- L’USS ha dichiarato di essere favorevole all’apertura verso l’UE, a patto che i lavoratori ne traggano beneficio. Come può una tale apertura essere vantaggiosa per i lavoratori? Cosa ne pensate?

L’USS (ma anche Travail Suisse, l’unione dei sindacati di origine “cristiana-sociale”) ha affermato che se le misure di indebolimento della protezione del mercato del lavoro, così come la volontà di liberalizzare il settore elettrico e del traffico ferroviario, dovessero rimanere in vigore, si opporrà a questo accordo. L’USS ha anche raccolto dalla base delle controproposte di rafforzamento dei diritti dei lavoratori, da opporre al degrado del mercato del lavoro causato anche dai precedenti accordi con l’Unione Europea.

Questa posizione “al rialzo” può sembrare di principio positiva perché significa che all’interno del USS non sta prevalendo la fazione “filoeuropeista”, legata al Partito Socialista Svizzero, e perché se alla destra nazionalista, contraria a questo accordo, si affiancano anche le forze sindacali (e ovviamente del nostro Partito), ci sono già delle ottime basi di partenza per riuscire ad affossare questo accordo e vincere. Detto questo, e seppure possa in parte comprendere che un Sindacato nella sua presa di posizione si concentri principalmente sulle questioni più vicine ai temi direttamente salariali ed economici, ci tengo anche a sottolineare che se si hanno a cuore le sorti dei lavoratori, questo accordo andrebbe bocciato indipendentemente che venissero accolte o meno queste pretese sindacali. Oggi difendere i diritti dei lavoratori svizzeri significa anche difendere la sovranità della Svizzera e la sua neutralità. Gli altri ambiti dell’accordo in questione invece, come nel caso degli aiuti di stato o della ripresa del diritto europeo, significano un ulteriore passo verso un futuro ingresso (sottomissione) della Svizzera nell’Unione Europea, un’entità che è irriformabile, che sta smantellando i processi democratici degli stati membri e che mentre distrugge i diritti dei lavoratori li vuole contemporaneamente preparare ad andare in guerra contro quei Paesi stufi del mondo unipolare a guida statunitense. L’assenza totale di critica su questi aspetti, unita a certe prese di posizione che edulcorano gli effetti nefasti dei primi accordi bilaterali (i sindacati fecero il gravissimo e storico errore di sostenerli a più riprese), mostra comunque sia un certo limite nella riflessione sindacale – economicista, dimenticandosi dell’impegno storico della sinistra a favore della Pace e anche dei diritti popolari dei lavoratori – sia, peggio ancora, il perdurare di una forte presenza della corrente filoeuropeista, legata come già detto al Partito Socialista Svizzero, che ancora non ha imparato nulla dai suoi errori e che continua a portare avanti una visione di Unione Europea progressista e migliorabile dall’interno che esiste soltanto nei loro sogni. L’auspicio è che l’USS non ceda a questa fazione e che porti avanti con determinazione il rifiuto a questo accordo.

Il giornale comunista turco Aydınlık segue da vicino la lotta dei compagni svizzeri.

4- Sono state formulate delle critiche sul fatto che tale accordo minerà la sovranità e l’indipendenza della Svizzera. Condivide queste preoccupazioni?

Sono assolutamente d’accordo.

Al di là della retorica, rimane ben presente in questo accordo la ripresa del diritto dell’Unione Europea che, anche se non più apparentemente automatica come nelle precedenti trattative, permetterà a Bruxelles, in caso di controversia, di trascinare la Svizzera in un tribunale arbitrale “paritario” e, successivamente, di far intervenire la Corte di giustizia dell’Unione Europea. Una volta presa una decisione in merito alla controversia, al nostro Paese resterebbe la facoltà di decidere se chinarsi ai dettami dell’UE e accettare la nuova normativa, anche se contraria al volere politico o a un verdetto popolare, oppure subire delle sanzioni come ritorsioni.

Vista la totale incapacità dimostrata dal nostro governo negli ultimi anni di elaborare una politica autonoma e indipendente, è purtroppo facile prevedere dove cadrà la scelta.

Inoltre, l’introduzione di un meccanismo di sorveglianza sugli aiuti di stato, vietati di principio in Unione Europea, sebbene resterà in mano svizzera – e ci mancherebbe – rappresenta a sua volta un primo passo verso una maggiore integrazione alle normative europee.

In generale, è evidente che tutto ciò segna un ulteriore passo verso una graduale annessione all’Unione Europea, la quale impedirà qualsiasi margine di autonomia politica, comporterà un peggioramento delle condizioni di lavoro e porterà allo smantellamento del nostro servizio pubblico, a danno dei diritti democratici e della coesione sociale. Questo accordo va combattuto con tutte le nostre forze, per garantire ancora in futuro l’esistenza di una Svizzera neutrale e indipendente, che abbia ancora i margini politici e giuridici per poter portare avanti liberamente tutte quelle riforme sociali ed economiche necessarie a garantire il benessere del Paese e dei suoi lavoratori.

5- È noto che i colloqui sono iniziati nel 2014, le parti si sono incontrate circa 200 volte, ma la Svizzera ha interrotto i colloqui nel 2021. Perché i colloqui si sono interrotti? E perché allora continuano oggi?

Questo terzo pacchetto di accordi venne richiesto la prima volta dall’Unione Europea alla Svizzera nel 2008, e nel 2014 iniziarono i primi colloqui. A quel tempo, non si parlava ancora di “Accordi bilaterali III”, ma, ancora peggio, l’Unione Europea richiedeva esplicitamente un vero e proprio accordo quadro con la Svizzera. Non si trattava quindi di introdurre dei singoli e specifici accordi in ambiti ben definiti, ma di creare piuttosto una cornice legale/istituzionale più generale al cui interno portare avanti le relazioni bilaterali e gli accordi fra la Svizzera e l’Unione Europea in ogni ambito. Anche se combatteremo questo nuovo accordo con tutte le nostre forze, bisogna ammettere che questa precedente versione era, se possibile, ancora peggiore, e infatti le critiche e le proteste si alzarono sia da destra sia da sinistra.

Il Consiglio federale decise di interrompere i colloqui nel 2021, affermando che vi erano delle divergenze importanti su alcuni punti sostanziali. Non so se si sia trattato, a fronte delle conseguenze che avrebbe comportato per il nostro Paese, dell’ultimo momento di orgoglio del nostro governo o se più semplicemente avevano capito che l’accordo sarebbe stato fatto a pezzi in votazione popolare. Si è però sicuramente trattata di una fondamentale vittoria da parte dei contrari, che ci ha permesso di non essere assorbiti totalmente dall’Unione Europea già alcuni fa, sopravvivendo tranquillamente da soli, al contrario delle previsioni catastrofiche sbandierate dai settori filoeuropeisti sia di destra sia di sinistra. L’Unione Europea ha però da subito iniziato a ricattare il nostro Paese con delle ritorsioni, come l’esclusione dai programmi di ricerca Horizon Europe. A ciò si è aggiunto un clima internazionale sempre più teso, che sta fungendo da ottimo pretesto per spingere la nostra classe politica, sempre più incapace di difendere gli interessi nazionali e popolari, nelle braccia dell’UE e della NATO e che sicuramente ha influito per la ripresa dei negoziati. Questo senza dimenticare quella fascia della borghesia svendipatria e della socialdemocrazia che da sempre chiedono che il nostro Paese entri direttamente nell’Unione Europea.

Il Consiglio federale sfrutta la crisi internazionale per forzare l’integrazione europea contro il volere della popolazione.

6- Qual è la posizione del suo Partito su questo accordo e quale politica intende perseguire nel processo referendario?

Il Partito Comunista ha giudicato l’esito di questi negoziati come un atto di tradimento e come l’ennesima dimostrazione che la Svizzera sta diventando una colonia dell’Unione Europea.

Sappiamo purtroppo da tempo che il Consiglio federale – portando avanti una politica estera e militare totalmente subordinata alla NATO e all’UE- non ha più a cuore le sorti della Pace e della neutralità, ma l’esito di questi negoziati dimostra che ora i gruppi dirigenti sono anche disposti a cedere persino sui meccanismi giuridico/istituzionali, sulle pratiche di democrazia diretta del nostro Paese e sulla sovranità nazionale (senza dimenticare la svendita del servizio pubblico e l’indebolimento delle tutele dei lavoratori). Come già detto, non possiamo tollerare un recepimento del diritto dell’Unione Europea, tantomeno l’intromissione di tribunali “stranieri” nei nostri processi politico istituzionali. Rifiutiamo anche totalmente la logica del ricatto e delle sanzioni, a maggiore ragione, ma non solo, in caso di scelte portate avanti a seguito di una decisione votata democraticamente dal nostro popolo.

Facciamo nostre le preoccupazioni dei sindacati sul fronte della protezione dei salari e delle condizioni di lavoro, così come dei controlli (e ci spingiamo oltre, essendo il nostro Partito per una rinegoziazione totale anche dei precedenti accordi bilaterali, o se costretti anche a un loro annullamento) e ci opponiamo a qualsiasi ulteriore tentativo di smantellamento del servizio pubblico e di liberalizzazione di settori come il mercato energetico.

Come se non bastasse, in cambio di questo tradimento sia degli interessi di classe sia di quelli nazionali, il nostro Paese sarà pure costretto ad aumentare il suo contributo annuale milionario all’Unione Europea. Un flusso di denaro che spesso finisce unicamente a portare avanti pratiche di sapore neocoloniale e di privatizzazione dei Paesi dell’Est Europa.

Come Partito Comunista sosterremo sicuramente qualsiasi referendum e iniziativa portata avanti per lottare contro questi accordi. Il nostro compito è però anche quello di fare pressioni ai partiti maggioritari di sinistra che ancora oggi credono, per ingenuità o opportunismo, in un Unione Europa che esiste solo nelle loro fantasie (smentite quotidianamente dalla realtà concreta), e soprattutto mostrare al Paese che esiste ancora una sinistra popolare e patriottica che con questo europeismo aggressivo, antisociale e guerrafondaio non ha nulla a che fare.