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Öcalan ordina la resa dei separatisti curdi? Una prima ipotesi di lettura

Nel 1990 e poi nel 1991 i compagni del Sosyalist Parti turco (oggi rinominato Vatan Partisi) guidati dall’allora caporedattore della rivista “2000’e Doğru”, Doğu Perinçek, avevano incontrato nella valle della Beqa in Libano, Abdullah Öcalan, leader del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), e – avvertendolo del rischio di “occidentalizzazione” che correva il PKK – gli avevano proposto di rinunciare alla lotta armata, di rompere le relazioni con l’imperialismo americano che foraggiava il separatismo etnico per balcanizzare il Medio Oriente in Turchia, Siria, Irak e Iran e di operare invece, unitamente alle forze patriottiche e rivoluzionarie turche, per democratizzare la Repubblica. 

La risposta fu però negativa da ambedue i lati: da una parte Öcalan decise non solo di continuare con le violenze (costate la vita a 40’000 persone, perlopiù civili, fra cui bambini e insegnanti) esasperando il nazionalismo curdo, ma anche di rinunciare formalmente al marxismo (o all’interpretazione revisionista del medesimo) e di trasformarsi in una pedina degli Stati Uniti e di Israele (come ha fatto intendere lo stesso Partito Comunista di Turchia TKP nella sua dichiarazioni del 28 febbraio 2025). Dall’altra parte il governo di Ankara, che già aveva fatto arrestare Perinçek nel 1990 con l’accusa di legittimare la secessione curda e di compromettere così l’integrità dello Stato, arrivò a vietare nel luglio 1992 le attività del suo Partito (che si ricostituì in seguito sotto altro nome).

Insomma: dopo circa 35 anni (e migliaia di morti) la linea lungimirante di Vatan Partisi riassunta nello slogan “Turchi e curdi sono fratelli, abbasso l’imperialismo americano” si starebbe realizzando. Il dato politico, infatti, è che – con la verosimile autorizzazione del governo turco – Öcalan ha chiesto a tutti i militanti del PKK di deporre le armi e addirittura di sciogliere l’organizzazione: se ciò avvenisse realmente sarebbe sicuramente una vittoria per la pace e la sovranità nazionale della Turchia, a tutto vantaggio quindi della transizione dall’atlantismo al multipolarismo. 

I tratti dirimenti della dichiarazione di Öcalan – letta sia in curdo sia in turco alla stampa – sono infatti i seguenti: 

1) la dissoluzione del PKK è necessaria perché esso “ha completato il suo ciclo di vita” a seguito dei “progressi della libertà d’espressione” (!) e del riconoscimento “dell’identità curda” (!) in Turchia. 

2) “nel corso di oltre mille anni di storia, turchi e curdi hanno sempre ritenuto necessario restare uniti in alleanza, in cui l’aspetto volontario era predominante”, al fine di “sopravvivere alle potenze egemoni”: sono stati “gli ultimi 200 anni di modernità capitalista ad aver tentato di rompere questa unità”. In pratica è l’ammissione del fatto che la questione curda è stata eterodiretta dall’imperialismo atlantico.

3) Presunte soluzioni come la creazione di uno Stato nazionale curdo (il Kurdistan), oppure il federalismo o anche solo l’autonomia amministrativa “non possono essere la risposta”. In pratica il PKK rinuncia ai suoi obiettivi storici in tutte le sue varianti. Resterebbe quindi solo un’opzione per risolvere la questione nazionale: è cittadino turco colui che, senza distinzione di etnia e di confessione, vive entro i confini della Repubblica sorta nel 1923 dalla Rivoluzione Kemalista, nazional-democratica e anti-coloniale. 

Prima di lasciarsi andare però in facili idealismi, occorre evidentemente verificare alcuni elementi:

Anzitutto si tratta di vedere se USA, Israele e vari paesi dell’UE – che hanno sempre rifornito il separatismo curdo – possano accettare una tale resa (al di là delle trite e ritrite dichiarazioni diplomatiche). 

In secondo luogo, più di quello che faranno i comandanti del PKK sul campo (che oggi avrebbero deciso il cessate il fuoco in Turchia), bisogna capire se davvero le sue filiali (PYD-YPG-SDF) attive – armi in pugno – nella regione siriana del “Rojava”, obbediranno all’anziano leader incarcerato. La portavoce del partito europeista filo-curdo DEM nel parlamento di Ankara, Ayşegül Doğan, ha sminuito l’appello di Öcalan a semplice “suggerimento”; le dichiarazioni di Mazlum Abdi, comandante delle Forze Democratiche Siriane (SDF) sono pure ambigue e il giornale “Yeni Özgür Politica” (organo del PKK) non sembra disponibile alla pace. Va ricordato che le SDF – dove militano circa duemila quadri del PKK – occupano un terzo del territorio siriano da cui sottraggono petrolio e gas naturale agli arabi per rivenderlo e, coi proventi, finanziare la guerriglia in Turchia. Il tutto sotto tutela degli Stati Uniti, i quali nel “Rojava” dispongono di ben otto basi militari (eppure qualche ingenuo eurocomunista ancora ne parla come di un sistema autogestito retto dal confederalismo democratico e persino dal femminismo!).

Infine – ed è forse l’aspetto principale – va analizzato appunto se di resa da parte del PKK si possa effettivamente parlare, oppure se è stato piuttosto siglato un compromesso con settori dell’apparato statale (visto che le contraddizioni interne alla borghesia turca non mancano). Da quanto ci risulta al momento, Öcalan non sembra aver vincolato la fine delle ostilità ad altre condizioni, tuttavia un punto interrogativo arriva, come detto, dalla Siria: in cambio della fine della guerriglia nei confini turchi qualcuno potrebbe concedere l’esistenza di un’enclave curda in quel che resta della Repubblica Araba Siriana (ormai parcellizzata fra Israele, integralisti sunniti e appunto PYD-YPG-SDF)? Se così fosse questo rappresenterebbe un pericolo per la sicurezza nazionale della Turchia che difficilmente Ankara potrà tollerare. 

Insomma forse un primo passo nella giusta direzione è stato effettivamente compiuto, ma occorre ancora cautela nel trarre giudizi perché la geopolitica della regione è tutt’altro che stabile.

Massimiliano Ay

Massimiliano Ay è segretario politico del Partito Comunista (Svizzera). Dal 2008 al 2017 e ancora dal 2021 è consigliere comunale di Bellinzona e dal 2015 è deputato al parlamento della Repubblica e Cantone Ticino.