Il «progressismo» futurista di Veltroni et al.

Accade abbastanza di frequente che il salotto di Otto e mezzo, trasmissione serale condotta da Lilli Gruber, si trasformi in una seduta medianica per interrogare gli spiriti dei cosiddetti “padri nobili” del centrosinistra. Personaggi la cui vita politica è già ben oltre il capolinea, politici più fantasmi che ombre di loro stessi, ma che in qualche modo mantengono sempre un’aura di sacralità e di imprescindibilità della loro opinione. Lunedì scorso è stato il turno di Walter Veltroni, che invero non ha avuto nulla di particolarmente interessante o illuminante da dire, almeno fermandosi alla superficie. Su questo piano infatti Veltroni ha solamente lanciato ripetuti segnali alla segreteria del Partito Democratico affinché si disfi delle ambiguità su temi di fondo e aderisca al piano europeo di riarmo. Fin qui nulla che meriti più di uno sbuffo, europeisti che europeeggiano, si potrebbe dire («tutto ciò che va nella direzione […] degli Stati uniti d’Europa va accolto», dice invece Veltroni), senonché è interessante vedere le tortuosità del percorso argomentativo di Veltroni (et al. dal momento che si tratta solo dell’ultimo esempio di una schiera di suoi consimili in processione continua tra salotti televisivi).

L’analisi di Veltroni è molto semplice, ossia «che il mondo abbia imboccato una strada molto pericolosa e che l’Europa sia sotto un duplice attacco, sia di tipo politico che di tipo economico», e questo perché l’Europa sarebbe stretta nella morsa delle autocrazie trumpiana e putiniana, che minacciano l’isola felice sul piano economico e commerciale (dazi), militare, e politico (il paventato autoritarismo delle destre di governo). Risposta: il riarmo.

Si può convenire abbastanza facilmente con Veltroni che il mondo stia percorrendo questa strada pericolosa, ma sarebbe difficile fargli capire che è una strada pericolosa anche a causa sua e soprattutto per quelli che a vario titolo la pensano come lui. Infatti la sua visione è rivestita di una patina di idealismo, o meglio moralismo, che gli impedisce di vedere oltre le sue idealizzazioni, oltre le sue divisioni in buoni e cattivi, di vedere che sotto l’etichetta di «progressismo» sta infilando la guerra, la morte e la distruzione. Perché rimesso in ordine il ragionamento di Veltroni, e con lui tanti altri, il messaggio è sostanzialmente questo: noi siamo i progressisti quindi i buoni quindi vogliamo e facciamo il bene; l’unione europea che noi vogliamo e facciamo è il bene, chi la minaccia è il male; nel nome del progresso che noi incarniamo è necessario far fuori il male ad ogni costo. A questa argomentazione possiamo affiancare due livelli di lettura: quello futurista e quello kantista. Futurismo: «Noi vogliamo glorificare la guerra – sola igiene del mondo – il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore […]» (Marinetti, Manifesto del futurismo); in questo senso il «progressista» è il libertario distruttore che muore per le belle idee e che perciò glorifica la guerra. Kantismo: «C’è una frase ormai proverbiale, che suona forse pomposa, ma è pur sempre vera: fiat iustitia, pereat mundus, ed essa significa: «Che regni la giustizia, dovessero anche perire per questo tutti gli scellerati del mondo» [lett. sia la giustizia, muoia il mondo]. Si tratta di un principio giuridico coraggioso, che sgombra completamente il campo da tutte le vie tortuose tracciate con l’inganno o con la forza» (Kant, Per la pace perpetua); in questo senso il «progressista» sgombra il campo dall’inganno e dalla forza degli autocrati, a costo di ammazzarli tutti e in fondo, anche ammazzarci tutti quanti assieme al mondo.[1]

Sappiamo bene che fine hanno fatto i futuristi, ma forse è meno nota la vicenda dei socialisti neokantiani tedeschi. Il più noto alle cronache politiche è certamente Eduard Bernstein, esponente di spicco della SPD tra fine ottocento e inizio novecento che allontanandosi dal marxismo inizia a concepire il progresso storico come una tendenza morale, che la socialdemocrazia avrebbe dovuto accompagnare, verso la realizzazione in terra del regno del bene; come lui diversi storici ed economisti di scuola neokantiana, i cosiddetti «socialisti della cattedra». Ebbene, praticamente tutti questi personaggi si sono trovati uniti nella follia del sostegno ai crediti di guerra, poiché se il progresso morale passa dalla guerra non v’è ragione di fermarla. Non penso servano dotte dissertazioni per sostenere che i milioni di morti della Grande guerra non siano stati un progresso morale dell’umanità.

E oggi Veltroni, come tanti altri, ricade nello stesso errore dei neokantiani e dei socialisti della cattedra, pensa il progresso come fatto morale senza concepire che le dinamiche storiche siano perlopiù uno sviluppo, e se riuscirà a vedere la fine della guerra che vorrebbe, probabilmente piangerebbe sulla miseria che ha voluto. E tutto questo, si badi bene, in linea teorica, senza nemmeno entrare nel problema della fattibilità del riarmo europeo, della questione delle insufficienti testate nucleari e l’assenza di vettori adeguati, della dipendenza tecnologica dagli Stati Uniti che mantengono il controllo delle filiere produttive e che riceverebbero la maggior parte degli 800 miliardi di euro proposti dalla Commissione Europea. Volendo essere gentili si tratta di una confusione ideologica che ha colto ancora una volta la socialdemocrazia in tutta Europa, anche da noi.

Veltroni, in uno slancio profetico avverte «un rischio anni 30, ma anni 30 dell’altro secolo», e sostiene che «la storia non è vero che si ripete sempre due volte, è molto piacevole dirlo citando Vico e Marx, ma non è così: la storia ha sempre un tratto originale». Ad una più attenta analisi però un parallelismo può essere tracciato con gli anni 10 dell’altro secolo, e così come per Marx «Caussidière invece di Danton, Louis Blanc invece di Robespierre […]» (Marx, Il diciotto brumaio di Luigi Bonaparte) per noi oggi dovrebbe forse valere Veltroni invece di Bernstein.


[1] Per correttezza va specificato che la chiave di lettura kantista non è propriamente kantiana poiché è lo stesso Kant a scrivere «una guerra di questo tipo [guerra di sterminio e mutua distruzione] dev’essere assolutamente vietata, come anche l’uso dei mezzi che vi conducono». Il problema merita un’analisi più approfondita qui impossibile da svolgere; ciò che conta rilevare è quanto segue nel testo.

Martino Marconi

Martino Marconi, classe 1999, studente universitario, è membro del Comitato Centrale del Partito Comunista (Svizzera). Dal 2017 è consigliere comunale a Morbio Inferiore.