Quando venne chiamato alle armi e dovette forzatamente arruolarsi nell’esercito di Adolf Hitler, il giovane apprendista metallurgico Heinz Kessler, figlio di una umile famiglia operaia, si ritrovò sul fronte russo. I suoi ideali anti-fascisti lo spinsero a trovare il coraggio di disertare e, nel 1941, si schierò con l’Armata Rossa. Nella Germania nazista venne condannato a morte in contumacia per tradimento e la sua famiglia trasferita in un lager. Lui, in Unione Sovietica, fondava intanto, con altri partigiani tedeschi, il Comitato Nazionale “Germania Libera” e del manifesto di quel gruppo di resistenti era l’unico firmatario ancora in vita. Oggi, a 97 anni di età, Heinz Kessler è morto.

Nel 1946, tornato in una Germania divisa per sfere di influenze dalle potenze alleate, Kessler scelse di stare nell’area di liberata dai sovietici. Contribuì a fondò la Libera Gioventù Tedesca (FDJ), organizzazione di massa dei giovani antifascisti e aderì al Partito Socialista Unitario Tedesco (SED), di cui fu membro del Comitato Centrale e poi anche dell’Ufficio Politico.
Dopo aver frequentato a Mosca l’accademia militare Voroshilov ottenne numerosi prestigiosi incarichi negli apparati di sicurezza tedesco-orientali, raggiungendo il grado di generale e diventando ministro della difesa della Germania dell’Est.

Nel gennaio 1990 Kessler, che si definì sempre un marxista-leninista, venne espulso dal Partito per “atteggiamento anti-sovietico”, che significava essere colpevole di opporsi al programma di riforme di orientamento liberali volute dall’ultimo presidente sovietico Michail Gorbaciov.
Con l’unificazione tedesca Kessler venne arrestato e condannato a una pena detentiva dai tribunali occidentali, ma anche di fronte a quella dura prova lui non rinnegò i suoi ideali, difendendo anzi pubblicamente la costruzione del Muro “di difesa anti-fascista” di Berlino, sostenendo che senza di esso in Europa sarebbe scoppiata la guerra. Decise infine nel 2009 di ritornare in politica, aderendo al Partito Comunista Tedesco (DKP).