I media occidentali, ancora una volta, ci hanno raccontato le elezioni iraniane con tutte quelle forzature funzionali a dipingere un quadretto semplicistico in cui Hassan Rohani sarebbe il progressista e Ebrahim Raisi, suo sfidante, il conservatore. Queste categorie interpretative sono da tempo consolidate nel metodo di analisi occidentale, ma tengono tuttavia poco conto dei fatti, del significato e del ruolo della Rivoluzione Islamica nella società iraniana.
La prima clamorosa forzatura è quella di vedere i due maggiori candidati in modo vivacemente contrapposto. Entrambi invece sono rivoluzionari che hanno partecipato, Raisi giovanissimo essendo nel 1978-79 appena diciottenne, alla lotta contro l’imperialismo, la povertà e la miseria imposti per anni dallo scià. Entrambi hanno contribuito alla costruzione dell’attuale società, fondata sulla più larga partecipazione dei cittadini, la più alta scolarizzazione di tutta l’area mediorientale, con il 60% degli studenti universitari che sono donne, come donne sono la metà dei primari d’ospedale e il 40% dei dirigenti d’azienda. Entrambi i candidati non solo si riconoscono nella Rivoluzione, ma ritengono necessario difenderne le conquiste sociali e salvaguardare il ruolo internazionale fondato su una radicale scelta antimperialista e un deciso impegno contro il terrorismo, che da anni oramai insanguina disgraziatamente tutta l’aerea mediorientale e non solo.
Non è un caso se i separatisti curdi, poco rappresentativi della minoranza curda, il 5% della popolazione, abbiano invitato a un poco seguito boicottaggio del voto. L’Iran rivoluzionario è fortemente inclusivo delle minoranze, dagli arabi ai beluci, agli azeri, minoranza di cui fa parte l’ex presidente e dal 1989 guida suprema Ali Khamenei, concittadino di Raisi, entrambi di Mashad, la città santa dell’imam Reza, del cui santuario Raisi è il responsabile.
Se queste, sostanziali, sono le affinità, vi sono poi delle differenze e in esse in parte risiede l’altissima affluenza alle urne, oltre 42 milioni di cittadini, con i seggi aperti a lungo oltre l’orario previsto, per permettere a tutti di votare, 70% l’affluenza finale. L’altro elemento che emerge dall’alta affluenza è il largo consenso al percorso rivoluzionario e all’azione internazionale dell’Iran per un mondo multipolare. Il messaggio al mondo e al terrorismo è chiaro, oltre 80 milioni di cittadini, massimamente giovani, procedono nel solco di un cammino iniziato nel 1979.
Rohani, come tutti i suoi predecessori, è stato confermato per un secondo mandato quadriennale, raccogliendo il 58% dei suffragi, Raisi, fino a qualche tempo fa poco noto, ha ottenuto il 39% dei consensi. Venendo alle differenze tra i due candidati, Rohani rappresenta la continuità rispetto a maggiori aperture economiche in senso liberale e la riduzione dei sussidi per i ceti popolari che infatti hanno votato massicciamente per Raisi, nella convinzione che le politiche sociali potessero tornare ad essere incrementate, come ai tempi della presidenza di Mahmud Ahmadinejad. Rohani non ha caso ha raccolto invece il consenso della parte più agita della società iraniana. In politica estera le differenze sono molto meno rilevanti, se da un lato Raisi rappresenta il gruppo storico dei rivoluzionari che nutrono dubbi rispetto al dialogo con l’Occidente, Rohani al contrario rappresenta coloro che credono il dialogo possibile e soprattutto con esso gli investimenti stranieri che potrebbero creare nuovi posti di lavoro.
Il dato rilevante in ogni caso è che l’Iran continua il suo cammino, un cammino importante per un mondo plurale e pacifico.