Dal lato opposto del globo rispetto a chi scrive, la pandemia di COVID-19 non ha arrestato le manovre volte a costruire un nuovo ordine globale fondato su rapporti internazionali radicalmente diversi rispetto a quelli imposti dall’imperialismo statunitense. Il 15 novembre scorso, 15 paesi dell’Asia-Pacifico hanno infatti sottoscritto uno storico accordo di libero scambio volto a ridurre le tariffe commerciali all’interno di un’area che rappresenta circa un terzo dell’economia globale, con oltre 2 miliardi di produttori e consumatori. Il nuovo Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP) comprende i 10 paesi dell’Associazione delle Nazioni del Sud Est asiatico -ASEAN (di cui fanno parte Indonesia, Thailandia, Vietnam, Laos, ecc.), oltre a Australia, Cina, Giappone, Corea del Sud e Nuova Zelanda. Grandi esclusi gli Stati Uniti, che durante la presidenza Obama si erano fatti promotori della Trans Pacific Partnership (poi abbandonata da Donald Trump) e che vengono ora presi in contropiede da questa nuova grande zona commerciale.
Un accordo commerciale moderno e mutualmente benefico
Il RCEP costituisce una novità sul piano commerciale grazie a numerose clausole introdotte nel testo finale, con cui si vuole dare una risposta moderna e mutualmente benefica ai problemi attualmente posti dal commercio internazionale. Le misure previste dall’accordo (che oltre all’armonizzazione doganale riguardano la proprietà intellettuale, la cooperazione economica, ecc.) prende infatti in considerazione il cosiddetto e-commerce, il potenziale delle micro, piccole e medie imprese, così come la complessità assunta dalla catena internazionale del valore. Diversamente dalla maggior parte degli accordi di libero scambio attualmente in vigore, il trattato riconosce però i diversi livelli di sviluppo economico dei paesi membri, introducendo varie forme di flessibilità commerciale che potranno andare a vantaggio dei paesi meno avanzati, preservando le loro scelte di politica economica e assicurando che l’accordo vada a beneficio di tutti i suoi membri.

Per il primo ministro cinese, il RCEP segna la “vittoria del multilateralismo”
Le reazioni, com’è comprensibile, sono state estremamente positive da parte cinese. Il primo ministro Li Keqiang ha dichiarato all’agenzia stampa Xinhua che “la firma del RCEP non è solo un risultato fondamentale per la collaborazione regionale nell’Asia orientale, ma cosa più importante, una vittoria del multilateralismo e del libero commercio” (leggi qui). In riferimento alle difficoltà economiche prodotte dalla pandemia, il capo del governo cinese ha affermato che “la firma del RCEP fa entrare luce e speranza attraverso le nubi oscure dell’attuale situazione internazionale, dimostrando che il multilateralismo e il libero scambio sono la giusta via da seguire per promuovere la crescita dell’economia mondiale e il progresso dell’umanità”. Non da meno, occorrerà prestare attenzione agli squilibri fra i paesi membri: secondo Keqiang, “dovremo sostenere l’apertura e l’inclusione, approfondire la cooperazione a tutto tondo e reciprocamente vantaggiosa, e lavorare insieme per fare del RCEP una piattaforma importante nella cooperazione economica e commerciale regionale a beneficio dei popoli di tutti i paesi”.
I comunisti vietnamiti: “una pietra miliare per l’integrazione del paese”
In termini simili si è espresso anche il primo ministro della Repubblica Socialista del Vietnam, Nguyen Xuan Phuc, secondo cui “la firma dell’accordo è l’orgoglio e il grande risultato dei paesi e dei partner ASEAN nel gettare le basi per un nuovo periodo di cooperazione globale e a lungo termine, portando benefici a tutti i paesi della regione” (leggi qui). Esprimendo l’auspicio che l’accordo venga ratificato al più presto, il primo ministro del Vietnam (che ha ospitato la seduta delle delegazioni che hanno sottoscritto il RCEP) si è detto convinto che esso contribuirà alla ripresa economica post-pandemica portando prosperità a tutti i paesi membri. Il ministro dell’industria vietnamita Tran Tuan Anh ha da parte sua sottolineato il carattere storico di questo accordo, “una pietra miliare per l’integrazione economica del Vietnam e degli altri paesi aderenti”.

Per il PC australiano, il RCEP è un “ramo d’ulivo” per le relazioni Cina-Australia
Non solo i partiti comunisti al potere, come quello cinese e vietnamita, hanno però espresso la loro soddisfazione. Anche il Partito Comunista dell’Australia (PCA), nell’ultima edizione del suo settimanale Guardian, è ritornato sull’accordo con un articolo dal titolo decisamente eloquente: “Gli australiani soffrono a causa delle pessime relazioni con la Cina” (leggi qui). Malgrado la diplomazia australiana non manchi nessuna occasione per ribadire la fedeltà all’alleato americano, criticando varie decisioni di politica interna cinese (come ad esempio circa il trattamento della sedicente “opposizione democratica” di Hong Kong), per i comunisti dell’isola oceanica la conclusione del RCEP potrebbe costituire “un ramo d’ulivo verso il miglioramento delle relazioni fra Cina e Australia”, contribuendo in tal modo a migliorare la situazione economica e la prosperità di quest’ultima. Non vi è però da illudersi: come ricorda il settimanale del PCA, il governo australiano non ha infatti atteso molto prima di tornare ad innalzare la tensione con la Cina, siglando un accordo di difesa militare con il Giappone rivolto proprio contro il paese del Dragone.
Critici i comunisti giapponesi: l’informazione sui negoziati è stata insufficiente
Decisamente di altro avviso è invece il Partito Comunista Giapponese (JCP), in cui ha prevalso una linea riformista, che nel suo 28° Congresso tenutosi nel gennaio di quest’anno aveva già preso le distanze dalla Repubblica popolare cinese, accusandola di “sciovinismo” e di “minacciare la pace mondiale” (leggi qui). Criticando le autorità giapponesi per aver tenuto nascosti i contenuti dell’accordo fino al momento della firma, il segretario generale del JCP Akira Koike ha infatti dichiarato che “il governo dovrebbe informare la popolazione del tipo di impatto che il RCEP potrebbe avere sulle loro vite” (leggi qui). Oltre alle preoccupazioni relative alle politiche commerciali concernenti i beni alimentari, Koike ha sollevato vari dubbi riguardo alle conseguenze sul piano industriale: “il RCEP potrebbe accelerare lo spostamento della produzione in Cina e potrebbe portare ad un indebolimento dell’industria nazionale”.
Grande interesse anche in Svizzera: con gli USA o con la Cina?
La conclusione del RCEP ha suscitato un grande interesse anche al di fuori dell’Asia-Pacifico. Visto il peso economico dell’area inclusa nell’accordo, numerosi paesi si sono interrogati sulle conseguenze che esso potrebbe avere sulle proprie economie nazionali. Fra questi anche la Svizzera, dove la co-presidente della camera di commercio Svizzera Cina per il Ticino (nonché capo-gruppo liberale nel parlamento cantonale) Alessandra Gianella ha dichiarato al Telegiornale che il RCEP è “un accordo molto importante che può valorizzare le buone relazioni fra Cina e Svizzera”, facilitando anche le relazioni elvetiche con gli altri paesi asiatici (vedi qui). Se il trattato potrebbe costituire un segnale di distensione nell’area, riducendovi l’influenza degli Stati Uniti, secondo Gianella sotto la presidenza di Joe Biden gli USA tenteranno di coinvolgere maggiormente i propri alleati: ecco dunque che secondo la capogruppo PLR “per la Svizzera sarà importante collaborare con Washington”.

Soddisfatto per la conclusione dell’accordo anche il segretario politico del Partito Comunista svizzero Massimiliano Ay, secondo cui “gli effetti del RCEP verranno certamente percepiti anche in Europa grazie ai progetti di cooperazione da tempo avviati dalla Cina, come ad esempio la Nuova via della seta, portando benessere a chi saprà aprirsi ai nuovi partner commerciali del Sud-Est asiatico”. Diversamente da Gianella, secondo Ay la chiave non risiede però nella collaborazione con gli USA, al contrario: “la Svizzera deve distanziarsi dagli Stati Uniti e dalla loro visione unipolare del mondo, aprendosi ai paesi emergenti e cogliendo questa nuova occasione per rinsaldare i rapporti con coloro che operano per diminuire le tensioni internazionali e garantire delle prospettive di prosperità ai paesi in via di sviluppo”.