Ufficiali elvetici al soldo dell’industria militare USA: altro che Svizzera neutrale!

Dopo la risicata vittoria ottenuta alle urne lo scorso settembre (solo 8000 schede avevano diviso favorevoli e contrari), tutti si aspettavano grande cautela e trasparenza nella procedura di selezione dei nuovi aerei da combattimento di cui si doterà nei prossimi anni l’esercito svizzero. Ebbene, così non sembra essere, al contrario. Il quotidiano friburghese La Liberté ha infatti reso noto lunedì scorso che alcuni ufficiali elvetici sarebbero stati assoldati quali “consulenti” da alcune delle aziende in lizza per l’acquisto dei nuovi velivoli militari.

Un colonnello dello stato maggiore assunto da Lockheed Martin

A destare maggiore scalpore è la notizia che Theo Staub, colonnello di milizia membro nientedimeno che dello stato maggiore dell’esercito, è stato assunto dal produttore statunitense Lockheed Martin attraverso la società di consulenza Proventavia, di cui Staub è direttore generale. Una situazione che dovrebbe quantomeno porre qualche interrogativo, come rileva il quotidiano d’Oltralpe: il colonnello in questione lavora infatti tanto per il committente di un’importante appalto militare quanto per una delle aziende che sta tentando di aggiudicarselo. Staub non è d’altra parte il primo ufficiale svizzero ad essere assunto dall’azienda, che ha alle sue dipendenze da diversi anni anche Patrick Nyfeler, graduato che è addirittura direttore di Lockheed Svizzera.

L’ambasciatore USA in Svizzera durante la presentazione del F-35 di Lockheed Martin.

Un ex ambasciatore ed ufficiale assoldato da Boeing

Il caso di Lockheed Martin non è però l’unico, anzi. La Liberté, che ha contattato tutte le quattro aziende che si contendono l’appalto, ha infatti appreso che anche il secondo produttore americano in lizza, Boeing, avrebbe assunto quale consulente un ex membro delle forze armate elvetiche, nonché ex ambasciatore svizzero in Germania, il basilese Thomas Borer. Il produttore francese Dassault ha assicurato di non aver assunto nessun ufficiale (o ex) elvetico, mentre Airbus non ha invece risposto alle sollecitazioni della testata romanda: l’interrogativo resta dunque aperto.

Le deboli giustificazioni dell’esercito

Il servizio stampa dell’esercito, così come le aziende interessate, si sono difese dietro ad una presunta assenza di conflitti d’interesse: gli ufficiali in questione avrebbero informato i propri superiori dei propri incarichi e che non sarebbero stati coinvolti in alcuna procedura concernente l’acquisto dei nuovi velivoli militari. Ciò non toglie che questi graduati, in contatto con le alte sfere delle forze armate, conoscano in dettaglio i meccanismi decisionali e le persone coinvolte, risultando così decisamente utili ai propri datori di lavoro privati (che probabilmente non li avrebbero assunti in caso contrario). Trincerandosi dietro al sistema di milizia, le gerarchie militari si sono giustificate affermando che “l’esercito non può dettare le loro attività professionali agli ufficiali e ai soldati di milizia”.

Indignati i comunisti: “Confermata la sottomissione alla NATO”

Di fronte a queste rivelazioni, molto dura è stata la reazione del Partito Comunista (PC), già distintosi più volte per le dure critiche rivolte all’esercito. Lo scorso anno, il membro della Direzione Edoardo Cappelletti si era scontrato con il divisionario Claude Meier, accusandolo di “banalizzare il fatto che la NATO abbia usato nel recente passato lo spazio aereo nazionale elvetico per azioni di guerra contro paesi sovrani”, violando così la neutralità elvetica (leggi qui).

In questa occasione, è il segretario politico e deputato del PC Massimiliano Ay ad osservare che “l’assunzione di ufficiali svizzeri da parte di marchi dell’industria militare nord-americana non è solo sconveniente, ma è politicamente gravissima. Ricordiamoci che queste aziende testano i propri ‘prodotti’ bombardando paesi sovrani di tutto il mondo, a cui gli USA ritengono di dover dare lezioni di democrazia: un paese che si vuole neutrale come la Svizzera dovrebbe agire molto diversamente”. Quella del sistema di milizia, per Ay non è una scusa: “lavorare direttamente per dei produttori militari stranieri significa compromettere l’indipendenza politica delle forze armate. Ciò conferma purtroppo come il nostro esercito sia asservito agli interessi atlantici”.