I comunisti in piazza sabato 28 febbraio: con i lavoratori, ma no al cambio fisso!

Massimiliano Ay è il Segretario politico del Partito Comunista della Svizzera Italiana (PC). Sinistra.ch si è intrattenuta con lui per discutere della manifestazione del prossimo 28 febbraio 2015 a Bellinzona intitolata “Schiavi a casa nostra?”. L’adesione del PC a questo evento – considerando sia gli attuali freddi rapporti con il Partito Socialista (PS), organizzatore della manifestazione, sia il fatto che la campagna elettorale è già cominciata – non era certo scontata. Sinistra.ch ha pertanto voluto approfondire la questione, cercando anche di capire come i comunisti ritengano si possa superare l’attuale fase problematica del mercato del lavoro.

Quali sono le motivazioni che portano il PC in piazza il prossimo sabato?

Massimiliano Ay: La crisi economica che colpisce l’Occidente da ormai ben otto anni, sta cominciando a mostrare dei sintomi anche alle nostre latitudini. I comunisti hanno sempre ritenuto, anche quando venivamo accusati di essere dei catastrofisti, che quanto avviene fuori dalla Svizzera non possa che avere delle ripercussioni anche all’interno del Paese, soprattutto in Ticino, il quale è un importante punto di contatto con l’Eurozona. Certamente non stiamo subendo condizioni economiche interne come quelle, ad esempio, della Grecia, ma non viviamo neppure in paradiso: diciamo che stiamo scontando un purgatorio. Come molti paesi dell’Unione Europea veniamo influenzati dagli orientamenti di Bruxelles, anche se, fortunatamente, in maniera più edulcorata. Si pensi alla recente approvazione in Gran Consiglio del freno all’indebitamento, sostenuto da tutti i partiti governativi: una vera e propria misura d’austerità. In questi giorni vediamo addirittura delle agitazioni operaie alle Ferriere Cattaneo di Giubiasco e alla Exten a Mendrisio, dove i lavoratori si stanno opponendo a una classe padronale che usa l’abolizione dell’ancoraggio del franco all’euro quale scusante per fare le “pulizie di primavera”. D’altronde in Ticino non può che svilupparsi anche questo tipo di imprenditoria malsana, in quanto il mercato del lavoro viene rovinato in primis dal Cantone, che permette l’esistenza di Contratti Normali di Lavoro a 3’000 franchi mensili (questo si chiama dumping di Stato!), e dalla città di Lugano, che ha da poco tagliato lo stipendio ai propri dipendenti. Considerando quanto sollevato sino ad ora, il PC sarà in piazza per far sentire la voce di chi si oppone allo scadimento delle condizioni del mondo del lavoro e dei diritti dei salariati, oltre che per cercar di rafforzare l’unità della sinistra.

Per il PC L’Unità della sinistra non è però ferma al Movimento per il Socialismo (MpS)? I vostri rapporti con il PS sono certamente già stati migliori e, inoltre, avete presentato una lista alternativa a quella socialista anche per il Consiglio di Stato.

M.Ay: Ad oggi l’unità della sinistra è sì ferma a MpS, ed è pure vero il fatto che con la dirigenza del PS non ci siano, in questo momento, particolari rapporti. Va comunque detto che l’unita della sinistra – o meglio, la costruzione de #LaCasaDellaSinistra (dal nome della nostra campagna elettorale) – non può essere semplicemente uno slogan vuoto, volto a strappare sorrisi a qualche buonista che non sopporta i contrasti politici, scambiandoli immediatamente per conflitti personalistici. Un progetto unitario deve avere delle basi programmatiche serie, orientate alla costruzione di una realtà che si opponga al consociativismo ticinese e che, quindi, non funga da stampella allo stesso. La netta maggioranza della dirigenza del PS questo discorso non vuole nemmeno intavolarlo e – non a caso – rifiuta di sostenere la nostra proposta della Tassa dei Milionari. Con MpS si è invece riusciti a creare un programma minimo comune, sulla base del quale lavoriamo assieme – sia in Parlamento sia sul territorio – da quattro anni. Al momento il nostro seggio in Gran Consiglio e in pericolo, e speriamo, per il bene di tutta l’area progressista, che possa ancora esistere una voce della sinistra d’opposizione anche nelle istituzioni cantonali.

Come giudica le cinque rivendicazioni della manifestazione?

M.Ay: Ritengo che non tutto sia condivisibile e che non si siano indicate le risoluzioni ai problemi strutturali dell’economia ticinese e del suo mercato del lavoro. Bisogna saper dare sia risposte a breve termine sia a lungo termine, nella piattaforma vediamo però solo correttivi sul corto periodo. Sposo pienamente la proposta che chiede “una tassa sulle operazioni di cambio” ma aggiungerei che il ricavato debba essere destinato a un fondo per le micro e piccole imprese disposte a riconvertire  la propria struttura produttiva verso l’alto valore aggiunto. Concordo anche la “proibizione di tutte le misure a danno dei lavoratori, specie i salari in euro e la discriminazione di genere”, anche se la formulazione è un po’ vaga. Il PC, ad esempio, chiede da tempo il divieto di licenziare senza giusta causa e – attraverso l’iniziativa popolare “Basta con il dumping salariale in Ticino” – un potenziamento dell’ispettorato del lavoro. Sarebbe sottoscrivibile anche il punto per il quale “gli utili della BNS destinati all’assicurazione contro la disoccupazione e alla formazione”, se non fosse in contrasto con la richiesta di avere “il cambio (tra franco ed euro, ndr.) bloccato a 1,15”. Una soglia minima di cambio, oltre che a renderci dipendenti dalla Banca Centrale Europea (BCE), costringerebbe la BNS all’acquisto di ingenti quantità di asset denominati in euro. Non dimentichiamoci che Francoforte sta per avviare una stagione di politica monetaria fortemente espansiva, a seguito della quale, se saremo agganciati all’euro, non avremo nessun utile della BNS da distribuire. Infine vi è “la diminuzione dei prezzi di consumo”, la quale arrischia di essere non tanto un vantaggio per le classi meno abbienti, quanto uno svantaggio per i piccoli commercianti, per le produzioni locali e per la qualità che sta dietro a tali prodotti. Il pollo nostrano, magari biologico, potrà essere ancora venduto, o favoriremo l’arrivo del pollo prodotto in allevamenti intensivi dell’Europa dell’est? Questo è solo un esempio…

Il PC si mostra politicamente lontano dal PS e le rivendicazioni della manifestazione hanno, a suo dire, molti difetti; ma allora perché aderire a questa mobilitazione anziché lanciarne una propria?

M.Ay: C’è differenza tra i dirigenti del PS e la base della sinistra, e noi saremo in piazza per parlare anzitutto con quest’ultima, la quale ha sempre mostrato di non essere anti-comunista a prescindere. La base chiede anzi una sinistra combattiva: da un’lato c’è molta nostalgia del Partito Socialista Autonomo (PSA); dall’altro, tra i più giovani, c’è l’incomprensione verso una politica social-liberale e consociativa. I comunisti non scadono nell’elettoralismo, per cui, responsabilmente, aderiamo alla manifestazione: non vogliamo permettere che i lavoratori paghino lo scotto della contesa elettorale.

In apertura ha parlato di un fermento delle lotte sociali in corso: crede possano svilupparsi a breve delle esperienze simili a quelle che abbiamo vissuto con i lavoratori delle Officine FFS di Bellinzona? 

M.Ay: Le Officine arrischiano di essere un unicum ancora per un lungo periodo, in quanto, per delle mobilitazioni che abbiamo successo è necessaria una forte organizzazione sindacale. Ai tempi dello sciopero a Bellinzona c’era un radicamento sindacale che alle Officine durava da anni; oggi abbiamo invece un movimento sindacale in crisi. Non dobbiamo inoltre dimenticare che l’UNIA che conosciamo oggi è figlia della liquidazione dell’esperienza delle Officine, a partire dall’allontanamento del leader operaio Gianni Frizzo.

Lei dice che il contesto economico e sociale è in peggioramento, e che – allo stesso tempo – nei prossimi anni sarà difficile costruire delle mobilitazioni vincenti: come uscire allora dal contesto del mercato del lavoro attuale?

M.Ay: Bisogna innanzitutto trovare le rivendicazioni giuste, quelle che in parte mancano sulla piattaforma della manifestazione di sabato prossimo, in quanto sono frutto di un’analisi che non è stata capace di individuare le problematiche principali del lavoro in Ticino. Il rischio è quindi quello di scadere in politiche che vendono illusioni: la Lega con la lotta ai frontalieri, i Verdi con l’idea del Ticino “a statuto speciale”, ecc. Di misure per il breve periodo si possono trovare facilmente (due le ho indicate in precedenza), ma oggi urge una seria analisi della struttura economica ticinese, di cui il mercato del lavoro è un riflesso. Ragionando in questi termini ci si accorge di come il nostro tessuto economico sia storicamente a basso valore aggiunto, per cui la ricerca del profitto viene portata avanti sui bassi salari, su cattive condizioni di lavoro e non certo sulla qualità della produzione. Le questioni del frontalierato, dei padroncini, del dumping salariale, ecc. sono tutti originati da questa situazione e dai conseguenti bassi saggi di profitto offerti dalla nostra economia. Bisogna quindi agire con una grande azione riformatrice di una realtà, ad esempio, come la piazza finanziaria luganese, la quale – in molti casi – di valore non ne produce proprio (e in merito segnalo i documenti della campagna sulla piazza finanziaria che il PC ha elaborato: link).

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